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Una figura inquietante è simbolo della misoginia di certe gerarchie ecclesiastiche
A differenza di quelle Protestanti le Chiede Cattolica e Ortodossa hanno sempre negato il sacerdozio alle donne. Già San Paolo, considerato dagli storici il principale elaboratore del Cristianesimo, enunciava: ” la donna ascolti l’istruzione in silenzio, con piena sottomissione” (Timoteo, 1,2,) perché come “Cristo è il capo di ogni uomo, l’uomo è capo della donna” e “immagine e gloria di Dio, mentre la donna è gloria dell’uomo. Infatti l’uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall’uomo” ( Corinti, I, 11).
Il recentissimo Catechismo della Chiesa Cattolica (1993) ha ribadito l’antica preclusione fondandola, come già era stato fatto, sul racconto evangelico: “Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile” poiché “il Signore Gesù ha scelto degli uomini per formare il collegio dei dodici Apostoli” e “la Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso” (numero 1577) E nonostante le sempre più pressanti richieste, anche interne alla Chiesa per un’ordinazione delle donne Wojtyla è irremovibile in questo veto.
La questione divenne di estrema attualità nel ’94 quando la Chiesa Anglicana decise di consacrare donne-sacerdoti, provocando nelle proprie file non poche defezioni di preti tradizionalisti verso Roma. Il Sinodo anglicano approvò anche un documento per modificare il linguaggio liturgico: Dio dovrà essere “Madre e Padre”, quindi universale e in un certo senso neutro. Ogni riferimento maschile a Dio dovrà gradualmente sparire. Tutte decisioni considerabili come successive rese all’imporsi del Femminismo, ma che non risolvono il secolare problema dei preti femmine. Anzi contribuiscono ad aggravarlo, perché mentre da un lato porgono alla donna – con abile quanto inevitabile compromesso – l’occasione di partecipare alla religione da protagonista, dall’altro la ancorano a ritualità prettamente maschili, che appunto per questo non possono appartenerle nell’intima essenza. Se dunque nell’ambito del Cattolicesimo per le donne è stata da sempre esclusa qualsiasi possibilità di sacerdozio si può facilmente immaginare quale perversione teologica possa essere considerata anche la sola ipotesi di un papa femmina!
Eppure ciò che la fede e i dogmi hanno negato è emerso dalla fantasia religiosa in quella che è forse la più sconcertante leggenda di tutta la cristianità: la storia della papessa Giovanna. Il primo a parlare diffusamente di questo enigmatico personaggio pare sia stato Martino Polono, morto nel 1265, il quale nelle sue Cronache dei pontefici e degli imperatori narrò che la donna sarebbe stata vicario di Cristo in Terra per ben 2 anni, 4 mesi e 5 giorni, succedendo nell’855 a Leone IV. Figlia di un monaco del monastero di Fulda, Giovanna Anglico – questo il suo nome – si innamorò di un monaco e fuggi con lui travestita con abiti religiosi maschili. Viaggiarono insieme per tutta l’Europa, poi, dopo la morte dell’amante, Giovanna raggiunse Roma. Li crebbe tanto in notorietà che fu addirittura eletta papa. Ma messa incinta da un servitore non potè nascondere oltre la propria identità sessuale: il pargolo ebbe infatti la pessima idea di venire alla luce proprio mentre papa Giovanni/Giovanna partecipava al corteo papale da San Pietro al Laterano!
Durante il parto la papessa mori – secondo altre versioni venne linciata – e del neonato non si seppe più nulla. La leggenda apparve cosi imbarazzante per l’ortodossia che in alcun mazzi di Tarocchi si preferì sostituire l’Arcano Maggiore n. 2, la Papessa appunto, con la più accettabile dea pagana Giunone.