L'Europa di Wojtyla

di Luciano Sampietro
Il nuovo trattato costituzionale europeo non contiene il richiamo alle radici cristiane. Il Santo Padre, che per mesi aveva lavorato perché fosse presente questo riconoscimento, ha tuonato nella sua lingua natale per denunciare questo grave atto di misconoscimento che – paradossalmente – testimonia scarsa laicità, come ha mostrato lo studio di un grande costituzionalista non sospettabile di simpatie cattoliche, l’ebreo Joseph Weiler.
Più voci avevano giudicato inopportuno tale richiamo, facendo notare che molti Paesi europei hanno significative minoranze di tradizione non cristiana, e il mondo islamico ha visto nel Papa il tentativo di reclamare “un posto per Cristo” ( così titolava un giornale arabo). Una semplice occhiata alla costituzione della Repubblica dell’Iran e soprattutto alle condizioni di vita di uomini e donne sottoposti alla legge islamica sarebbe sufficiente per capire cosa significhi la reale commistione tra religione e potere politico, laddove reati e peccati vengono a coincidere.
Ma nonostante questo si è voluto, in nome di un malinteso laicismo e in ossequio a un’ideologia tardogiacobina, negare il ruolo del Cristianesimo nella formazione dell’Europa, e censurare l’unione tra la razionalità greca, il rigore giuridico romano e l’esperienza di un’umanità cambiata dall’incontro con cristo, fattore di dialogo e di sviluppo per tutto il mondo.
Il fatto che Giovanni Paolo II abbia più volte ammesso gli errori della Chiesa chiedendo perdono non è bastato a far riflettere sul fatto che l’Europa non può ridursi a una burocrazia tecnico – economica, ma deve essere una casa in cui riconoscersi in forza di una comunanza di storia e di cultura, e quindi un ambito privilegiato di tutela della persona e della sua capacità di associarsi e rispondere ai bisogni, in una reale logica sussidiaria.
Lo sforzo di Giovanni Paolo II non è sfuggito a Nostradamus, che in una quartina scrive ( Quartina X, 73):

Il tempo presente e quello passato
sarà giudicato dal Gran Giovialista:
un debole mondo da lui lasciato,
nella slealtà del clero giurista”.

Il Veggente usa il termine “Giovialista”, alludendo al nome del Papa, ma anche come sinonimo di teologo. Il primo verso si riferisce alla revisione della storia della Chiesa, cui si accennava. Il terzo critica un Occidente debole e stanco, anche per quella parte del clero che si farà assorbire da sofismi e ideologie: basta leggere giornali e dichiarazioni di quest’ultimo periodo per cogliere l’attualità della profezia. 

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