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di Piero Cassoli
Relazione tenuta al 1° Congresso Internazionale di Studi delle Esperienze di Confine”, San Marino.
Il titolo di questa relazione è costituito da una domanda che mi sono posto da quando sono giunti alla nostra attenzione i primi racconti di persone che, dopo un gravissimo episodio che ha minacciato la loro vita, hanno ripreso conoscenza e hanno raccontato ciò che hanno “vissuto” durante il periodo in cui talora sono stati dichiarati defunti. La risposta sembrerebbe ovvia. E forse lo è: la stragrande maggioranza dei Parapsicologi si è interessata a questo impervio – e spesso ingrato- campo di ricerche, perché ha ritenuto insoddisfacenti le spiegazioni che le religioni e la filosofia davano del fenomeno morte, e di ciò che può succedere dopo di essa. Molti parapsicologi hanno sperato che lo studio e la eventuale comprensione del significato dei fenomeni paranormali potessero aiutarli a dare un senso all’evento più tragico e ineluttabile che può capitare all’essere umano: la morte e conseguentemente la perdita delle persone più care; la morte e il possibile, temuto annullamento di se stessi. Quindi ciò che raccontano coloro che dicono e credono di essere tornati dall’al di là, dopo una grave crisi quasi mortale, può avere per molti parapsicologi un interesse e una attrazione molto rilevante e non sempre totalmente cosciente.. Un interesse quindi strettamente legato alle motivazioni che ci ha spinti verso i nostri studi. Ma io credo che l’interesse del parapsicologo per i fenomeni premortali possa essere anche di diverso tipo – e certamente è il mio caso oggi, a questo punto della mia ricerca e credo della ricerca in generale.
Poco fa ho detto “la maggioranza dei parapsicologi”: Conosco degli studiosi del paranormale che vi si sono dedicati semplicemente perché coinvolti da ciò che accadeva ad amici o anche a stretti familiari, che presentavano fenomeni per loro inspiegabili e a volte sconvolgenti e sui quali hanno sentito la necessità di indagare più a fondo. Conosco anche altre motivazioni. Ma sono abbastanza convinto che la principale sia la prima che ho citato: dare un senso, una spiegazione a uno dei più grandi problemi escatologici: cosa significa morire e cosa ci accade dopo la morte. In seguito a molti sarà accaduto ciò che è successo anche a me: siamo stati coinvolti prima dalla curiosità per quello che di misterioso ed ignoto si nascondeva dietro a quei fenomeni, caratteristica questa comune penso a tutti i ricercatori. Poi siamo stati presi, conquistati dall’interesse scientifico per dei fatti che sembravano contraddire i più noti e affermati dogmi o assiomi della Scienza, e proponevano la ricerca di una causa che potesse spiegare se non perché, almeno come avvenivano quegli strani fenomeni.
A un certo punto della nostra ricerca, che io vivo in prima persona e senza soluzione di continuità da circa 50 anni, è sembrato utile e scientificamente corretto affermare che ogni ricerca che coinvolgeva i problemi della morte e dell’esistenza dell’al di là, era epistemologicamente impostata in modo errato. Quando si entrava nel metafisico (oggi diremmo correttamente seguendo Popper, in un campo di ricerca “non falsificabile”) si usciva direttamente dal campo scientifico. Dovevamo conseguentemente e coerentemente stralciare questo argomento dai nostri programmi. Personalmente sono ancora convinto della correttezza di questa impostazione. Cosa però che non mi ha impedito di andare a mettere mano a cose che forse rasenteranno un po’ l’eresia.. Spero di sapere mantenere l’equilibrio che finora ho sempre cercato di dimostrare. Il problema dell’esistenza di questi fenomeni così sconvolgenti e coinvolgenti- quelli delle Esperienze Premortali- non è nuovo nella storia dei popoli e della parapsicologia in particolare. William Barrett, fisico ed uno dei padri fondatori della SPR inglese nel,1926 veniva interessato per la prima volta ad una esperienza di questo tipo, per l’interessamento della moglie, ginecologa. Essa era stata testimone di un episodio relativo a una sua paziente, una certa signora Doris, che in punto di morte aveva assunto una espressione sorridente e serena e aveva detto che vedeva il papà e la sorella Vida che la chiamavano. La sorella Vida era morta tre settimane prima, ma alla ammalata non era stato detto nulla per non turbarla. Se attendibile, si trattava di una informazione che Doris aveva ricevuto, durante una crisi premortale, per vie oggi definite da noi paranormali.
Questi fenomeni compaiono abbastanza spesso nei racconti di “coloro che sono tornati”, ma in particolare compare in questo contesto, e con una notevole frequenza, un fenomeno molto discusso e su cui è difficile effettuare indagini: mi riferisco alla cosiddetta OBE o Esperienza extracorporea. Mi permetto qui di fare una digressione dalle intenzioni di questa mia relazione.
Digressione che penso potrà però coinvolgere molte persone.
Ricercando a fondo nella bibliografia mi sono meravigliato, così come altri prima di me, nel constatare come le ricerche sulle esperienze premortali siano iniziate così tardi. Sono iniziate solo attorno agli anni 70 e per iniziativa entusiastica, ma metodologicamente discutibile, di una psichiatra ormai ben conosciuta da chi si occupa di questo argomento, Elisabeth Kubler-Ross. Mi sono chiesto spesso: ma perché il problema della morte, una delle poche esperienze universali della nostra esistenza, la sola unica certezza della nostra vita, è stato sempre così accuratamente esorcizzato ed ignorato?. Ricordo ben chiaramente, negli ospedali, quegli squallidi paraventi che mettevamo attorno al letto di un paziente morente. Era un atto di egoistico abbandono e di rassegnazione. Questo triste rituale non è totalmente scomparso, purtroppo. E purtroppo la spiegazione non può essere che una. “Un occidentale tende a considerare la credenza nell’al di là come prodotto di primordiali paure in individui cui è stato negato il privilegio della conoscenza scientifica.” ( S. Grof e J. Halifax).
Aggiungo tristemente che la nostra filosofia materialista ci induce a vedere la morte non come un possibile passaggio o, perché no?, come una fine anonima e tranquilla, ma come una sconfitta. Chi muore è un perdente. Presso molti popoli, alcuni non poi tanto primitivi, la morte, a consolazione di chi va e di chi rimane, è un rito spesso collettivo, dove il morente acquista un valore per la tribù, per il gruppo, spesso addirittura una promozione sociale a spirito protettore e antenato illustre. Presso la nostra civiltà occidentale gli estremi “compagni” di viaggio di molti morenti sono tubi per fleboclisi, bombole di ossigeno, polmoni artificiali o vari apparecchi di controllo delle funzioni vitali, con tutti i loro bip bip, così anonimi, così infantili, così irridenti. Per lenire le sofferenze psicologiche, cosa offre oggi la nostra società, la nostra filosofia, la nostra religione con i suoi riti formali, sbrigati in fretta da una figura a volte scialba e disinteressata di un sacerdote?
A parziale ed umana scusante per tutto il corpo sanitario che accetta e tacitamente convalida questi atteggiamenti, dirò che studi anche recenti,(ma non necessari!), hanno dimostrato che gli psicoterapeuti hanno rifiutato fino a pochi decenni fa di occuparsi dei morenti,perchè avvertivano la inconscia paura della sofferenza fisica , della loro precarietà biologica e della morte. Alcuni precursori ed animatori, fra cui appunto la Kubler Ross, il gruppo Sprint Grove del Maryland Psychiatric Research Center (1974 e segg.), hanno dato l’avvio a uno studio approfondito della psicoterapia, con psichedelici e non, degli stati terminali e, quello che interessa particolarmente, delle caratteristiche psicologiche degli stati intermedi di cui qui ci occupiamo.
Le esperienze di Stanislav Grof e della Joan Halifax, preceduti nelle loro ricerche, da personaggi come Aldous Huxley e i coniugi Gordon e Valentina Wasson, si svolgono fra la fine degli anni 50 e gli anni 60. Grof lascia Praga nel 1967, per trasferirsi, per chiamata, negli Stati Uniti.. In altre parole siamo negli anni e dentro l’atmosfera della rivoluzione scientifica, culturale, politica del ’69. Tanti valori cambiano, e con essi costumi, riti, credenze. Cambia naturalmente anche l’interesse per la morte e il morire. Debbo ammettere che io stesso, come medico, andai incontro ad un profondo cambiamento. Basti pensare che non andavo mai a funerali dei miei pazienti e che mi scusavo con me stesso o con altri dicendo che i funerali rappresentavano la nostra sconfitta.. E’ naturale, consequenziale ai fatti culturali e socio-politici di quegli anni, che gli studi sulla morte e quelli in particolare sui Fenomeni Premortali (EPM o NDE) ricevessero un impulso straordinario. Una lettura del numero del GdM “Ritornati dalla morte” e soprattutto la lettura attenta del libro fondamentale -qui in Italia- di Aureliano Pacciolla, porteranno ad una aggiornatissima conoscenza di questi studi. Ricorderò come tappe fondamentali i libri del medico Raymond Moody che nel 1975 scrive “Life after Life” e due anni dopo “Alcune riflessioni sulla Vita oltre la Vita”. Nel 1977 Karlis Osis e Erlendhur Haraldsson, due notissimi parapsicologi, fanno una ricerca su circa lOO0 casi in USA e in India e fra l’altro “raccolgono dati sperimentali sufficienti per dimostrare scientificamente che l’alcool, i farmaci, le varie droghe leggere e pesanti non solo producono fenomeni diversi qualitativamente dalle Esperienze Premortali, ma ne inibiscono i vissuti tipici.”(Pacciolla, pag.52). Altri AA. negli anni 80 cercheranno di dimostrare il contrario.
Comincia anche la serie di ricerche tese a dimostrare che le differenze culturali, religiose e geografiche, la causa e la durata delle Esperienze Premortali, il tipo di rianimazione (E.A. Rodin, neuropsichiatra, ne individua 10, di queste “variabili”) non hanno rilevanza sui contenuti di quelli che vengono chiamati i “Vissuti” delle Esperienze Premortali .Non entro nei particolari di questi vissuti, che fanno parte dell’analisi fenomenologica della NDE, come la gran luce, la pace , la distorsione temporale, il tunnel, la visione panoramica della vita, l’uscita dal corpo eccetera.. Il 1983 è un anno “storico” per queste ricerche. George Gallup Jr. fonda la Gallup Poll Organisation e fa una sondaggio su scala nazionale in USA e dice di aver riscontrato che otto milioni di Americani hanno riferito di avere vissuto un’Esperienza Premortale. Nello stesso anno lo psichiatra B. Greyson pubblica sul “Journal of Nervous and Mental Disease” (Pag.369) la sua “Scala di Valutazione e Classificazione della NDE”. Questa Scala è stata esaminata e studiata per conoscerne la validità. Oggi i vari AA dicono che non si potrebbe fare una ricerca su questi fenomeni senza applicarla.
Sono anch’io del parere che sia tuttora uno strumento valido, almeno per separare tanta “spazzatura”, che troviamo sparsa a piene mani in convegni e librerie, da ricerche serie e documentate. Vi ho però riscontrato delle deficienze che vorrei dire “assolute”. Per esempio ho valutato secondo questa Scala una mia esperienza accadutami a 18 anni, durante una anestesia, e che mai avevo pensato di classificarla come. una NDE, anche se il ricordo era rimasto indelebile nella mia mente. La valutazione di questo mio caso supera i 10 punti della Scala di Greyson, quando sono sufficienti 7 punti per supporre che un soggetto abbia vissuto una Esperienza Premortale e 10, per ritenerla quasi sicura. Ma io non ero stato assolutamente in punto di morte, né anche oggi ritengo che quella esperienza possa considerarsi una NDE. Gli studi proseguono tuttora fra atteggiamenti e interpretazioni caute ed organicistiche del fenomeno, fenomeno che comunque nessuno nega, e interpretazioni di tipo spiritualeggiante . Durante questo Stato di Coscienza fortemente alterato, o modificato che dir si voglia, che è la Esperienza Premortale, compaiono con una notevole costanza statistica delle OBE o Esperienze Fuori del Corpo.
Riservo per un altro esame il fatto che alcuni soggetti dopo questa esperienza raccontano di avere iniziato a presentare fenomeni di tipo paranormale. Alcuni addirittura dicono che si sono sviluppate in loro capacità pranoterapeutiche. Quello che mi interessa di mettere in evidenza qui è quanto ho tratto dalla casistica che compare nel libro di Aureliano Pacciolla. Ecco i dati: Nel 1980 Greyson e Stevenson rilevarono che il 75% del loro campione aveva avuto una OBE. Ring nel 1980 riscontrò che nel suo campione il 37% aveva sperimentato la separazione dal proprio corpo fisico con la possibilità di osservare ciò che avveniva nelle vicinanze, fra cui anche cose o avvenimenti che non sarebbero stati visibili,se l’osservazione fosse partita dal corpo fisico stesso.
Nel 1981 O.G. Gabbard pubblica sul “Journal of Mervous and Mental Diseases” una relazione su due inchieste che hanno coinvolto 1500 persone. Di queste, 339 hanno dichiarato di avere avuto una OBE e 33 una Esperienza Premortale. L’A. osserva:” La confusione che si crea in questa ricerca è che l’EPM ha caratteristiche analoghe ad altre esperienze, ma è unica soprattutto dal punto di vista della separazione della mente dal corpo che sembra essere il fattore chiave, che più di ogni altro influenza il cambiamento di credenze”(del soggetto che l’ha vissuta)”. Nel 1982 è la volta del cardiologo M.B. Sabom. Si dice “tirato per i capelli” ad interessarsi dell’argomento, spinto da una sua collega dell’Università Emory ad Atalanta. C’è il solito scetticismo di inizio. Ma su 1090 pazienti su cui Sabom ha indagato e che hanno avuto una crisi quasi fatale, con perdita di coscienza (dato per me fondamentale), il 30% ha avuto una OBE.
Nel 1983 George Gallup Jr. trova che fra i suoi soggetti il 28% ha avuto una OBE.
Nel 1983 Greyson applica la sua Scala a 89 casi: il 35% riporta una OBE.
Nel 1988 Moody riporta sul suo “La vita oltre la vita” una tabella di confronto fra i dati di K.Ring e P. Friedmann all’Università di Northridge in California: Ring riscontra il 35% di OBE e Friedmann il 66.
Nel 1989 un parapsicologo molto noto, ma di affidabilità scientifica incerta, Scott Rogo asserisce che, per lui, due sono le caratteristiche fondamentali, perchè si possa sostenere che un vissuto è una Esperienza Premortale : essere veramente vicini alla morte fisica e percepirsi fuori del proprio corpo.
Nel 1990 Paola Giovetti riferisce di avere trovato nel suo campione lO casi di OBE. Nel 1990 Owens, Cook e Stevenson su “The Lancet” pubblicano una ricerca su 58 casi: il 68% riferisce una OBE.
Anche nella ricerca del prof. Pacciolla i 14 soggetti che hanno raggiunto nella Scala di Greyson i valori più alti, hanno evidenziato la voce che si riferisce alla “separazione dal corpo”. Potrei anche finire qui ribadendo che l’esperienza extracorporea (OBE) è stata sempre di estremo interesse per gli studiosi di Parapsicologia, e che avere trovato un campo in cui questo fenomeno sembra prodursi con una relativamente alta frequenza non può non interessarli. Avrei data la mia risposta al titolo del mio intervento che avevo posto sotto forma interrogativa. Ma desidero approfondire brevemente questo fenomeno: la OBE appunto..
Fin dalle ricerche e dalla esperienze dei vecchi magnetizzatori sono stati riferiti casi di quella che poi Albert De Rochas ha chiamato _Exteriorisation de la motricitè” ed “Exteriorisation de la Sensibilitè”. Secondo questi autori esiste il ‘corpo fisico’, composto di sostanza organica, e per lo meno un altro corpo ‘fluidico’, che sarebbe una specie di ‘doppio’ del corpo fisico, invisibile, costituito da pura energia. Come fa il pensiero a non associare a questa ipotesi i concetti informativi della medicina energetica cinese? Questo “Doppio” o _Corpo Astrale” sarebbe possibile, in certe particolari situazioni (Stati Alterati di Coscienza), esteriorizzarlo. Così esteriorizzato, sarebbe capace di avvertire ogni tipo di stimolo sensoriale portato su di lui e di effettuare movimenti di oggetti a distanza. Nel contempo il corpo fisico perderebbe le corrispondenti facoltà e farebbe soltanto da rivelatore di ciò che succede – o che avverte- il corpo astrale. Naturalmente oggi nell’ambito della Parapsicologia scientifica, cui avrei l’ambizione e il desiderio di continuare ad appartenere, questi concetti sono ritenuti solo curiosità storiche e vera archeologia del pensiero magico. Se qualcuno azzarda qualche dubbio sulla possibilità che qualcosa di simile corrisponda a verità, viene bollato per lo meno di eresia o di sconfinamento nel campo del metafisico, che sempre, per definizione, non è esplorabile con i metodi della scienza.
Comunque la convinzione che tendo ad avere che i fenomeni di OBE siano una realtà non spiegabile se non con la esistenza di un quid che si esteriorizza dal corpo umano,, mi hanno indotto a ricordare i lunghi annosi studi di questi nostri precursori e a collegare il tutto con i dati che emergono da un altro campo di studi che mi è congeniale e in cui tuttora mi dibatto – con sempre minor lena ed entusiasmo- quello della pranoterapia. I problemi che investono la tematica dei Guaritori, che sono oltretutto diversi da paese a paese, sono molteplici e non ho mancato di elencarli e discuterli quasi tutti: anche recentemente ho scritto per esteso sul GdM delle varie posizioni, legali e giuridiche che i vari paesi adottano nei riguardi della cosiddetta Medicina Alternativa in generale e della Pranoterapia in particolare. Di tutti questi problemi forse quello fondamentale ed anche il più pregnante per la Ricerca è il seguente. Premetto che i risultati positivi di alcuni pranoterapeuti sarebbero facilmente documentabili, se la classe medica fosse capace di un atto di generoso disinteresse scientifico e facesse quello che ho cercato di fare per tanto tempo e inutilmente da solo. E cioè di convalidare questi risultati. Si può farlo, clinicamente, in modo molto convincente.
Ma veniamo alla domanda o al problema cui accennavo poc’anzi: “Questi risultati sono frutto di suggestione, sono complessivamente opera dell’effetto placebo o di un quid che il pranoterapeuta sprigiona dal proprio corpo?” Il problema è stato sempre vivacemente dibattuto fra quelli che erano chiamati “fluidisti” e quelli che erano definiti “psicologisti”. Esaminando gli Atti (Proceedings) delle Riunioni annuali della Parapsychological Association, compaiono relazioni di studi di laboratorio che mettono in evidenza l’azione dell’uomo su sistemi che per definizione non possono essere sospettati di suggestionabilità: azione su enzimi, su semi di piante, su cultura di cellule, su funghi, sul movimento di piccoli animali: Ma quello che mi ha fatto infine propendere per la interpretazione che ipotizza la esistenza di un quid che passa dal corpo dell’uomo a qualcosa -un evidenziatore- che sta fuori di esso, sono stati gli esperimenti lunghi e coscienziosi effettuati qui in Italia da Alberto Ansaloni e Patrizia Vecchi. Essi hanno compiuto numerose ricerche sul comportamento dell’idrolisi del tricloruro di Bismuto in Ossicloruro e della velocità di precipitazione di sali di Oro prima e dopo la applicazione delle mani di una pranoterapeuta. In seguito la stessa persona ha cercato di influire, e positivamente, sulla cosiddetta Velocità di Sedimentazione delle Emazie.
In questi esperimenti viene usata acqua per produrre le soluzioni su cui agire. E questo mi ha fatto ricordare un esperimento che spesso viene passato stranamente sotto silenzio: un famoso parapsicologo, famoso non fosse altro che per avere condotto la battaglia per la nostra entrata nella Associazione Americana per il Progresso delle Scienze, Douglas Dean, ha effettuato delle ricerche sull’acqua che era stata trattata da un famoso pranoterapeuta. L’acqua su cui il guaritore aveva imposto le mani, serviva per innaffiare una cultura di semi di orzo e doveva influenzarne la crescita. L’esperimento ebbe esito positivo. D’altra parte questo è uno dei modi più semplici per esaminare in via preliminare se un soggetto ha doti pranoterapeutiche ed è indicativo solo se condotto con una metodologia accurata. Douglas Dean riscontrò per due volte una variazione nello spettro di assorbimento dell’Infrarosso, che lui e i suoi colleghi riferirono ad una alterazione dei legami idrogeno ossigeno dell’acqua stessa. Non voglio fare della facile ironia, ma è molto difficile pensare che in tutto ciò che ho brevemente ricordato, giochi la suggestione. Sono quindi passato, negli ultimi tempi, dalla parte di coloro che pensano che tutti questi fenomeni siano prodotti da un quid che esteriorizziamo in certe particolari situazioni.
Di qui il passo a pensare che questo quid sia poi in definitiva quello che causa i fenomeni parapsicologici è stato molto breve. So benissimo cosa mi si obbietterà. Credo però che non avrò per ora molte frecce al mio arco per difendere la mia posizione, quando mi si obbietterà che sto pericolosamente sconfinando nel metafisico e che quindi non sarà mai possibile dimostrare che la esteriorizzazione non esiste (Ipotesi non falsificabile). So anche che ci sarà qualcuno che dirà che non merita neppure di obbiettarmi qualcosa. Eppure io sono convinto che se i ricercatori cominceranno ad interessarsi attivamente di coloro che hanno fenomeni di OBE e ne andranno alla ricerca e li sperimenteranno, potranno raggiungere cospicue prove indirette della correttezza di questa mia ipotesi. Penso che tutte le altre strade che si stanno tentando per costruire un modello per interpretare in qualche modo i fenomeni paranormali siano ancora molto, molto lontani dalla realtà.
Ecco perché il parapsicologo è interessato anzi, deve interessarsi alle Esperienze Premortali.