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PER PRONUNCIARE UNA CONDANNA, BISOGNAVA DISPORRE DI DUE TESTIMONI OCULARI O, IN MANCANZA DI QUESTI, DELLA CONFESSIONE DELL’IMPUTATO. E SE ERA DIFFICILE REPERIRE I PRIMI, SECONDA VENIVA FACILMENTE ESTORTA CON OGNI MEZZO
Abbiamo visto che nel Malleus le domande di Sprenger, e degli inquisitori dopo di lui, ruotavano soprattutto intorno ai maleficiae alle solite credenze da mulierculae.
Perché le accuse diventassero di satanismo o adorazione del diavolo, con tutti i corollari di sabba, patto , eccetera, c’era bisogno dello zampino del giudice, ma non solo: anche della tortura. Secondo lo storico Brian P. Levaci (che riprende Richard Kieckhefer), ” l’accusa di adorare il diavolo, nei processi di stregoneria, non viene mai formulata prima di giungere alla fase del procedimento in cui si applica la tortura”. Prima di allora, le accuse sembravano riguardare solo o maleficia di cui dicevamo. Ne deriva che la tortura ebbe una notevole importanza, sia per comprendere meglio la cosa realmente confessavano gli imputati, sia per un problema di carattere strettamente giuridico che si presentava ai giudici, soprattutto agli inquisitori.
Un ostacolo al loro procedere, infatti, era il criterio di valutazione della prova, straordinariamente rigoroso soprattutto nei tribunali inquisitoriali, criterio mutato dal diritto romano in materia di tradimento e perciò detto diritto di prova romano-canonico. In altre parole, per condannare un imputato c’era bisogno di due testimoni oculari o , in alternativa, della confessione. A questo punto, le cose si facevano complicate: era abbastanza difficile che un testimone avesse assistito al volo della strega su un manico di scopa o a un’adorazione collettiva del diavolo. Persino Paolo Grillando, che pure nel suo De sortilegiis eorumque poenis (1524/7) parla seriamente di evocazioni diaboliche, convegni notturni e persino di cani parlanti, dovette ammettere, magari controvoglia, di non aver mai visto o udito di una strega colta “in flagrante crimine”. Non ci fu una volta in cui le autorità, che pur avevano compiuto irruzioni nei confronti di altri gruppi “sovversivi”, fossero state in grado di effettuare un’incursione in un covo di streghe. Vista la particolare caratteristica di crimine “onirico”, o per lo meno mentale della stregoneria, era dunque difficile trovare testimoni fide digni, e il processo rischiava quindi di bloccarsi. Ma, per fortuna, c’era la tortura, che riusciva a convincere sempre gli imputati a confessare ciò che i giudici si aspettavano.
E’ anche vero, però, che era rigorosamente stabilito dalla consuetudine e dalla legge che tutti i gradi della tortura, per quanto severi, dovessero essere praticati nell’arco di un solo giorno, essendone proibita la ripetizione. Ma già nel suo manuale per gli inquisitori del 1376 il brillante Nicholau Eymerich riuscì ad aggirare l’ostacolo, consentendone la continuazione in un momento successivo.
LE TESI DI LUTERO
Nonostante il quadro abbastanza cupo descritto, non si deve pensare che alla fine del Quattrocento iniziasse in Europa uno sterminio di streghe generalizzato. Piuttosto, con una andamento non sempre del tutto ben chiaro, la caccia procedeva con esplosioni improvvise, seguendo diversi focolai e legandosi a particolari situazioni locali o, talvolta, magari alla personalità di un singolo giudice.
Tenendo presenti i limiti delle generalizzazioni, sembrerebbe che nei primi anni del Cinquecento ci troviamo di fronte a un rallentamento del fenomeno stregonico. Scrivendo nel 1516 Lutero poteva dire che, nonostante nella sua giovinezza avesse sentito parlare di molte streghe, ora “non se ne sentiva parlare” più di tanto. Ma sappiamo come questo pur straordinario religioso oggettivo. A contraddirlo, basterebbe il canonista spagnolo Francisco Pena: “Nulla è più frequentemente disputato oggi, che di sortilegi e divinazioni. Ma Pena scriveva nel Cinquecento ormai inoltrato, ed è effettivamente vero che molti storici hanno notato una diminuzione dei processi, accompagnata, questo più immediatamente verificabile, da una corrispondente interruzione della pubblicazione di tratti e manuali di stregoneria. Abbiamo già visto che lo stesso Malleus, che pure fu vendutissimo tra il 1486 e il 1520, non fu più ristampato da quest’ultima data e fino al 1576.
Il 31 ottobre del 1517 Lutero affisse le sue Tesi alle porte della cattedrale di Wittemberg, in Sassonia: inaspettatamente, per lo meno al suo inizio, anche la Riforma contribuì alla diminuzione dei processi di stregoneria.
Le Puttane del Diavolo
Verso il 1516, questo grande riformatore predicava alla sua congregazione che “molti credono che le streghe si rechino a cavallo di una scopa, o di un ariete o di una testa d’asino, in un posto o nell’altro in cui tutte le streghe fanno baldoria insieme, a loro piacere; ma è proibito non solo far ciò ma anche credere che si faccia”. Questo, però, fu solo all’inizio , visto che pochi anni dopo cambiò totalmente i toni, dando quella definizione che è rimasta famosa: “Le streghe sono le puttane del diavolo”.
Ma se la Riforma, in qualche modo e per qualche tempo, sembra aver interrotto la caccia alle streghe in alcuni Paesi, ciò non fu legato direttamente alla volontà dei suoi fondatori. E’ più probabile trovarne le cause in altri fattori, come il rifiuto, per lo meno iniziale, di ogni costruzione teorica cattolica riguardo le streghe e, parimenti, dei trattati demonologici a cui questa diede vita. Inoltre la Riforma allontanò dai suoi territori l’inquisizione papale, e il riordino delle giurisdizioni ecclesiastiche, insieme con il trasferimento di gran parte delle loro competenze alle corti secolari, si risolse in una radicale trasformazione, e in un conseguente rallentamento, di tutto l’apparato giudiziario destinato a occuparsi di stregoneria.
Questa sorta di “distrazione” verso il fenomeno, tuttavia, fu solo temporanea e già alla metà del Cinquecento la caccia riprendeva con maggior vigore di prima. La spiegazione di un tale atteggiamento può avere molte cause, una delle quali può essere ravvisata nel fatto che, dopo alcuni decenni di transizione, in realtà la Riforma non seppe e non volle elaborare una teoria autonoma e indipendente riguardo alle streghe, accettando e facendo proprie le vecchie concezioni demonologiche espresse dai teologi cattolici, arrivando a citare le stesse autorictates, come rimproverò aspramente, ma siamo già nella prima metà del XVII secolo, Christian Thomasius Benedict Carpzov, autore della Pratica Rerum Criminalium (1635)
Giustizia Sommaria
La caccia alle streghe infuriò nei territori protestanti come in quelli cattolici, con modalità più o meno simili: alle crudeli persecuzioni scozzesi e quella dei Paesi di Vaud, alle più “tolleranti” dei Paesi Bassi. Come nel resto d’Europa, spesso le accuse provenivano “dal basso”, senza necessariamente l’intervento di alcuna inquisitio d’ufficio, che tutt’al più si limitava in questo caso ad assecondare le sollecitazioni della popolazione, propensa a ricorrere al linciaggio come strumento di giustizia sommaria.
Questa era una prassi abbastanza normale, come già per il 1127 ci ricorda Galbert di Bruges, riportato da Jean Claude Schmitt in Medioevo “superstizioso”: “Quando il conte Thierry andò per la prima volta a Lilla , gli venne incontro una strega, scendendo nel fiume che il conte stava per attraversare passando per il ponte proprio accanto alla iettatrice che lo asperse d’acqua. Allora, si dice, il conte si ammalò di cuore e di stomaco fino al punto da essere nauseato da bevande e cibi. I cavalieri, preoccupati della sua sorte, s’impadronirono della strega e, legandole mani e piedi, la collocarono su un mucchio di paglia e di fieno accesi e la bruciarono.”
Licenza di Uccidere
Anche nel cinquecento e nel Seicento il meccanismo non cambia di molto: le esecuzioni sommarie vengono solitamente organizzate dai parenti delle vittime del presunto maleficio, talvolta da giovani riuniti in vere e proprie “compagnie di giustizia”. La strega viene scovata, frustata e finita a colpi di pietre, o finisce sul fuoco. L’assassino si nasconde per un po’ di tempo fino a che, aiutato dai notabili del luogo, riesce ad ottenere una lettera di remissione. Tutto ciò accadeva anche nei Paesi Protestanti, forse con qualche motivazione maggiore, o quantomeno diversa.
Lutero, come anche Calvino o gli altri riformatori religiosi, abbiamo detto che non elaborarono alcunché di diverso riguardo alla presenza del diavolo nel mondo, anzi, quasi ingigantirono la sua figura rendendola onnipresente e potentissima e trovandogli un fondamento biblico più solido. Lo stesso Lutero ha sostenuto più volte di aver ingaggiato veri combattimenti con questo rappresentante del Male in terra. Al tempo stesso, il protestantismo iniziò una guerra senza quartiere alle superstizioni, di qualunque tipo fossero, da quelle non ecclesiastiche come l’uso di incantesimi, di amuleti o di ogni altra forma di magia, terapeutica e non, a quella ecclesiastica, come venivano considerate le devozioni popolari quali l’adorazione dei santi, l’utilizzo pseudomagico del rosario, delle immagini sante e delle reliquie. Persino il sacramento cattolico dell’Eucarestia e la Messa di cui era parte venivano bollati come superstiziosi e magici.
Questa ricerca della purezza, però, ebbe come corollario l’impoverimento delle difese popolari contro la magia: la vittima di un presunto maleficio o magari colui che voleva soltanto scongiurare possibili mali futuri, non aveva più alcuni mezzi considerati efficacissimi contro il male: il segno della croce, l’acqua benedetta, appendervi immagini di santi, o tutti quei rituali protettivi che si utilizzavano in genere contro il potere del diavolo. Tutto ciò, in qualche modo, oltre a contribuire a un atteggiamento meno indulgente verso alcune”stranezze” della devozione popolare, potè da un lato rafforzare la paura delle streghe e dall’altro fare si che l’unico modo per contrastare i malefici e coloro che li preparavano fosse la via giudiziaria, con un conseguente aumento dei processi.
Il Male In Persona
Nel contesto protestante, alcuni storici hanno voluto dare un ruolo rilevante alla vecchia teoria del “capro espiatorio” della comunità di villaggio. La convinzione nasce dal fatto che la ricerca sistematica del concetto di salvezza, soprattutto in ambiente calvinista, in qualche modo contribuì alla nascita di un tipo di personalità molto motivata le cui energie, fisiche e morali, potevano essere incanalate verso attività genericamente sociali. Secondo Brian P. Lecack, ogniqualvolta una persona coscienziosa cadeva nel peccato, si trovava di fronte a un senso di colpa e di indegnità morale che rasentava la spaventosa prospettiva di non essere tra gli “eletti”. Di questo “senso di colpa”, la vittima faceva d tutto per liberarsi: in genere trasferendolo su un’altra persona, meglio la strega, oggetto ideale in quanto incarnazione del Male. Le streghe, secondo questa visione psico-sociologica, diventavano i capri espiatori di una comunità che stava lottando per affermare un nuovo ordine morale.
Il senso di colpa ritorna anche nella analisi fatte dallo storico Alan Macfarlane per quanto riguarda la stregoneria in Inghilterra tra il Cinquecento e il Seicento. Analizzando le accuse di malefici e stregonerie nei villaggi, Macfarlene individua alcune costanti che inducono a vedere nella strega una donna, per lo più anziana, o vedova, e in genere appartenente allo stesso villaggio, quando non alla stessa contrada, della vittima. Già Reginald Scot, d’altronde, alla fine del XVI secolo, aveva sostenuto che il potere delle streghe era confinato nell’ambito dei loro rapporti sociali (come scoprirà più tardi l’antropologia), “perché la distanza massima che possono raggiungere è andare a prendere un secchio di latte ecc.., a mezzo miglio circa dalle loro case”.
Le Vicine Terribili
In una società basata su forme di solidarietà economiche che cominciavano a declinare, ecco allora che le accuse comparivano quando c’erano mancanze nei rispettivi, reciproci doveri di aiuto. Il saggio dello storico inglese abbonda di casi di donne stregate per aver rifiutato di portare alla vicina dei pesci dal mercato di città, per aver scacciato in malo modo una vecchietta che si limitava a raccogliere legna nella proprietà della vittima, oppure così: “Tenendo un uomo, a quel tempo, una festa per la tosatura e non avendola invitata (la strega). Pur essendo la sua vicina, ella gli stregò ben due pecore” (come la fata non invitata alla festa di Rosaspina). Così l’oggetto del contendere (un prestito non concesso, un attrezzo non prestato), diventano lo stadio finale di un processo economico e sociale più complesso che nasconde un cambiamento fondamentale dell’intero complesso di rapporti tra vicini. La stregoneria- secondo Macfarlene- poteva diventare così la “causa” vera nel senso che spiegava il fine, il motivo o la volontà celate dietro una disgrazia.
In un senso più strettamente psicologico, il senso di colpa diventava così la molla di tutta una serie di accuse ai danni delle vicine (perché in genere si trattava di donne), presunte streghe.