Parola d'ordine: nessuna pietà

Forse più dell’ebraismo, il cristianesimo manifestò una profonda avversione per la magia. A cominciare da Costantino, che puniva con il rogo gli indovini che operavano la di fuori dei santuari.
Il cristianesimo e la tradizione ebraica su cui esso si impianta mostrano una profonda, programmatica avversione nei confronti della magia. L’antimagismo ebraico, così come si configura nel vecchio Testamento, traeva la sua origine dalla lotta d’Israele contro i circostanti popoli pagani e contro il suo stesso oscuro passato di idoli e di sacrifici umani. Per capire quali potessero essere le suggestioni magiche circostanti Israele, basterebbe indagare sui popoli che con esso erano entrati in contatto nei due millenni precedenti il Cristo, dagli Egizi agli Hittiti, alle abitazioni abitanti l’aerea siriaco – fenicio – palestinese, agli Assiro- Babilonesi, ai Medo – persiani, fino alle culture di sintesi siro – ellenistica e poi ellenistico – romana, tutti pregni di valori magici. IL Dio di Abramo si poneva di fronte a queste divinità come Dio unico e onnipotente; padrone della natura, egli comandava tutto e non poteva essere sottomesso da alcuna coercizione umana. Il carattere magico delle altre religioni rispetto a quella d’Israele, e allo stesso tempo l’inutilità, la vanità e pertanto l’empietà della magia si qualificavano da soli, secondo la legge ebraica, appunto nel confronto con l’onnipotenza dell’unico Dio.
Ma d’altra parte politeismo e magia pesarono a lungo sul passato del popolo d’Israele: le stesse oscure, reticenti allusioni della Bibbia lo provano. I libri che siamo soliti definire “del vecchio Testamento” risentono tutti, in minore o maggiore misura, della polemica dei profeti ebrei contro tutto quel che sapesse di “magia operativa ” e di divinazione.

SFIDA DI POTERI
I tipi di divinazione con i quali i mondo israelitico era entrato in contatto erano numerosi, e molti sono i termini che la letteratura biblica usa per designarli: tutto quel che ad esempio riguardava il mondo sotterraneo o gli “spiriti dei morti” era guardato con il massimo sospetto.
L’atteggiamento generale del profeta nei confronti del “mago-stregone-indovino”(categoria nella quale si facevano rientrare tutti i sacerdoti pagani) era comunque di opposizione nell’esatta misura i cui si trattava, in fondo, di “concorrenza”. Se il mago poteva vedere nel futuro attraverso le sue tecniche, che, illecite al cospetto del DIO D’Israele, il profeta era viceversa lo strumento attraverso il quale Egli parlava.
Questa somiglianza tra i servi degli dei stranieri, pagani, con i loro falsi culti e gli uomini di Dio, è sottolineata spesso nel testo biblico, seppur indirettamente la sfida tra Mosè e i maghi d’Egitto è, in fondo, una prova tra poteri opposti, entrambi in qualche modo associabili all’universo magico; il serpente di bronzo eretto nel deserto a salvamento di chi venisse morso dai serpenti, è un modello di magia simpatica, basata sulla legge di similitudine; il rito per espugnare Gerico, con i sette giri attorno alle mura e il suono delle trombe, sembra un rito magico. La Bibbia è poi particolarmente severa nei confronti di quei casi che ricordavano più da vicino la magia “nera” o la “stregoneria”: casi cioè di divinazione a mezzo dei defunti di incantesimi volti a nuocere e così via: per esempio, la negromante di Endor, consultata da Saul per evocare lo spirito di Samuele.

L’INFLUSSO EBRAICO
La cultura ebraica esercitò la sua influenza sull’Europa cristiana in diversi modi. Anche se non bisogna sottovalutare l’importanza delle colonie giudaiche sparse ovunque a seguito della diaspora , fu soprattutto la tradizione biblica a fornire le basi teologiche che, fino al XIII secolo (cioè sino all’affermazione di San Francesco e del movimento da lui creato), la presenza del Vecchio Testamento e la sua influenza nella vita liturgica, culturale, spirituale della cristianità sono state non quelle del Nuovo Testamento.
Al nostro Medioevo la Bibbia giunse sia nelle varie versioni greche- a partire da quella cosiddetta “dei settanta”- sia attraverso quelle siriache, poi anche arabe, copte, etiopiche, compilate dal III al VI secolo sul testo greco, sia infine attraverso la versione gotica di Ulfila nel IV secolo e quella paleoslava di Cirillo e Metodio nel IX.

INCANTESMI DI DIFESA
Le comunità ebraiche hanno esercitato la loro influenza sulla cultura magica europea ben oltre il Medioevo. La fama degli Ebrei come maghi- certo diffusa grazie anche a una buona dose di malevolenza- fu lesta ad affermarsi, e si dovette senza dubbio alle cure che alcuni circoli filosofico-religiosi dedicavano alle scienze ermetiche.
L’impatto fra il giudaismo e il neoplatonismo, con lo svilupparsi delle pratiche teurgiche e della relativa demonologia favorì oggettivamente questo avvicinarsi dell’esoterismo giudaico- o di frange “eretiche” di esso- alla magia nera e alla stregoneria. Così è per certi giochi magici, quali gli esperimenti d’evocazione degli spiriti che, sotto la direzione del “mago” mostravano a un medium (di solito un fanciullo impubere) l’identità di un ladro, riflessa su una superficie liscia (bacino di acqua, lama di metallo, unghie, ecc.). L’angeologia-demonologia d’origine neoplatonica faceva sì che si coltivasse una scienza estremamente complessa, quella dei nomi degli angeli e/o dei demoni delagti da Dio a certe funzioni subalterne, dei metodi per entrare in contatto con loro e per indurli a fare la volontà dell’evocatore, dei talismani da costruire per tutelare l’uomo dalle forze occulte o per porlo nelle condizioni di utilizzarle , della “stella”personale di tutti i nati sotto la volta celeste. L’atteggiamento della teologia ebraica delle varie scuole, dinanzi alla magia, non fu mai scettico, né del resto avrebbe potuto esserlo, vista anche la legge biblica: ma la guardò sempre con estremo sospetto. Se ne sviluppò infatti quel “rovescio” che è la contro-magia: i talismani, gli amuleti, le cerimonie profilattiche, gli scongiuri verbali o gestuali.
Molti di questi “incantesimi di difesa” sono rimasti nel ricco e vario folclore ebraico europeo. In ogni caso la figura dell’ebreo come mago “nero”, come stregone, non si deve alle attività dei centri ebraici in Europa, ma all’attegiamento dei cristiani nei loro confronti che divenne sempre più duro dopo la prima crociata e soprattutto dopo la Peste Nera del 1347-50 della quale in molte contrade d’Europa gli ebrei furono chiamati responsabili.-

LA VULGATA DI SAN GIROLAMO
Tutte queste traduzioni e trasposizioni interessano prevalentemente le varie cristianità orientali. Le versioni latine – anch’esse naturalmente assai influenzate da quelle greche – si raccolgono principalmente attorno all'”africana” del II secolo e all'”itala” del II – III , nel complesso indicate come Vetus latina; ma soprattutto per l’occidente fu importante la Vulgata , cioè la traduzione fornita da San Girolamo direttamente sul testo ebraico.
È stato appunto il testo geronimiano che, più di ogni altro, ha dominato il Medioevo latino. La traduzione di parole e locuzioni designanti riti e culti magico – stregonici, così com’ era stata proposta da Girolamo, condizionò in seguito la teologia non meno del diritto canonico. A sua volta, Girolamo perfezionò la traduzione della Bibbia verso al fine del IV secolo: la condanna mosaica delle opere divinatorie e stregoniche, dunque, veniva da lui ripensata e reinterpretata in termini romano – cristiani, quei termini stessi che suggerivano le – più o meno – coeve leggi antimagiche dei primi imperatori cristiani. Da questa convergenza fra i testi biblici e quelli legislativi, Girolamo doveva dunque trarre la prova di una loro reciproca conferma. Che poi i testi giuridici del IV secolo fossero ormai a loro volta ampiamente influenzati dalla tradizione biblica, è certo: ma quel che importava al traduttore, in fondo, era che essi fossero congrui a una tradizione romana anche precristiana, il che sembrava provare la provvidenzialità di quest’ultima.

L’EDITTO DI MILANO( Appendice)
Nel 311 l’Imperatore d’Oriente Galerio emanò un editto di tolleranza a favore dei cristiani, che faceva seguito a un periodo di persecuzioni nei loro confronti. Il famoso editto del 313, voluto da Costantino, non fece allora che continuare un percorso quasi naturale: la presa di coscienza dell’impossibilità di cancellare la forza profonda che stava scuotendo il mondo culturale e religioso dell’Impero. L’Editto di Milano ratificava in sostanza la decisione di Galerio e si proponeva dunque come un atto di tolleranza verso il cristianesimo e ogni altro culto praticato nell’Impero. Secondo due autori cristiani, Lattanzio e Eusebio di Cesarea, nel 312, alla vigilia della battaglia del ponte Milvio contro il rivale Massenzio, Costantino fu ispirato da un sogno. A questo evento la tradizione fa rimontare la presunta conversione dell’imperatore. Sulla veridicità del sogno è difficile pronunciarsi, ma è probabile che Costantino vedesse di buon occhio la conversione al monoteismo, oscillando tuttavia tra i culti solari e il cristianesimo. La tendenza della società tardoimperiale ad abbandonare forme troppo differenziate di politeismo è importante per comprendere l’atteggiamento di Costantino al momento della presunta conversione. La “questione costantiniana” è stata ampiamente dibattuta, ma oggi vi è una sostanziale concordanza nel pensare che egli assecondasse l’orientamento a privilegiare non solo e non tanto il cristianesimo, quanto più in generale tutte le tendenze religiose monoteiste. La Vita Costantini – scritta da Eusebio un quarto di secolo dopo la morte dell’Imperatore – sostiene che egli ordinò di distruggere i templi e le statue degli dei pagani e proibì di sacrificare agli idoli; è più probabile tuttavia che Costantino intendesse solo colpire culti e istituzioni religiose come la prostituzione sacra, ormai troppo lontani dalla sensibilità e dalla moralità comuni.

IL PLACITO DI COSTANTINO
I primi provvedimenti normativi antimagici influenzati dalla tradizione ebraico – cristiana sono appena posteriori al celebre pronunciamento di Costantino in favore della nuova fede. In un placito del 319 lo stesso imperatore proibiva la divinazione quale culto o pratica a carattere privato, presumibilmente mosso dalla considerazione che certi divinatori erano divenuti operatori di malefici, da esercitarsi a a pagamento a vantaggio di clienti privati. Per gli indovini “non autorizzati” la punizione prevista era il rogo: una pena destinata a trovare applicazione nel Medioevo e nell’età moderna contro eretici e streghe. È da notare che Costantino non proibiva affatto l’attività degli aurispici e degli altri divinatori ufficiali: l’importante era che essi venissero consultati apertamente, nei pubblici santuari. L’imperatore, peraltro, per nulla disposto a rompere con la tradizione romana, si guardava bene dall’eccedere in zelo antimagico: se gli incantesimi a scopo criminale o erotico venivano proibiti, non si perseguitavano invece i portatori di amuleti e quanti praticavano la magia tempestarla per la tutela delle messi.

ISTERISMO ANTIMAGICO
Le cose si sarebbero aggravate con il successore di Costantino, Costanzo II. I suoi placiti del 357 e 358 erano caratteristici di un tipo di mentalità e di legislazione che ormai non tentava neppure più di comprendere, di distinguere, ma che tendeva a punire e a proibire tutti i comportamenti a sfondo magico, equiparando anche le colpe lievi alle più gravi. I testi in questione non trattavano solo di magia “bassa” o delittuosa; Costanzo si accaniva principalmente contro i vecchi uffici sacerdotali pagani, certo ormai decaduti, ma comunque ancora leciti e operanti. I provvedimenti antimagici da lui presi vanno forse interpretati alla luce del suo feroce antipaganesimo. Lo scrittore pagano Ammiano Marcellino testimonia circa la pericolosità di farsi trovare al collo un amuleto o dell’osservare qualche innocua superstizione: stando a quanto egli riferisce, si rischiava persino la vita. Quando le spie dell’imperatore rintracciarono presso il santuario di Bes, ad Abido in Egitto, sede di un celebre oracolo, certe petizioni ritenute tali da recar pregiudizio al sovrano, questi giunse a organizzare una sorta di tribunale inquisitorio ante litteram.
Questo isterismo antimagico può almeno in parte aiutare a comprendere come mai, dopo Costanzo II, si ebbe per reazione, sotto l’Imperatore Giuliano, una pur effimera rinascita pagana. Era naturale che con il ritorno al paganesimo del giovane imperatore la persecuzione antimagica segnasse il passo, quanto meno perché certe generalizzazioni non potevano essere accettate: come avallare la riduzione dei misteri e delle arti sacre dell’interpretazione dei segni divini a semplici, turpi malefici? Com’era possibile equiparare le mere “superstizioni” alla magia “nera”?

ROMA, SPOGLIATA E RIVESTITA (Appendice)
Il problema del rapporto fra la città pagana e quella cristiana e del riuso di strutture della prima nella seconda si pose con particolare precocità e grande urgenza nella Roma costantiniana. Già in precedenza si erano verificati casi di reimpiego di materiali più antichi per nuove costruzioni. Tuttavia fu nelle basiliche cristiane del Laterano e del Vaticano ( fondate tra il primo e il secondo decennio del IV secolo) che si avviò un progetto di riuso dei materiali di spoglio non casuale bensì programmatico, al quale si aggiunse la ricerca di effetti strutturali e cromatico – decorativi che richiamassero il classicismo della grande edilizia romano – imperiale. Anche se i due edifici sorgevano in posizione defilata rispetto al cuore della città pagana – destinato a rimanere ancora a lungo sostanzialmente immutato -, mostravano il chiaro intento di rivaleggiare con essa, proponendosi quale nuovo centro monumentale dell’Urbe. Quasi contemporaneamente, però, le grandi famiglie aristocratiche legate alla tradizione pagana proponevano proprio nel cuore della città, ossia nel foro, restauri e ristrutturazioni anche sostanziali, in risposta al progetto costantiniano. Il IV secolo vide infatti in Roma un accanito contrasto tra la tradizione pagana- espressa dall’aristocrazia senatoriale – e le nuove istanze cristiane, che raggiunse il suo apice nella contesa del 357 intorno all’Altare della Vittoria: Costante II, succeduto a Costantino nel 324, dietro consiglio del vescovo di Milano Ambrogio, fece rimuovere l’ara sacra alla quale i senatori rendevano omaggio bruciando i rituali grani d’incenso. Il breve regno di Giuliano( 360-363) sembrò riportare in auge la tradizione pagana; ma la precoce scomparsa del giovane imperatore aprì definitivamente la strada al trionfo del cristianesimo, contro il quale la democrazia senatoria si rivelò perdente.

L’OMBRA DEL SOSPETTO
Ma ormai la strada era segnata. I successori di Giuliano tornarono comunque al cristianesimo, e con esso alla legislazione costanziana. Il placito del 365 di Valentiniano I e Valente trattava tutta la magia come illecita, in sostanza equiparando riti pagani e cerimonie magiche. Certo, vi era il tentativo di salvare qualcosa della tradizione passata; lo stato romano – pur sempre più egemonizzato dai cristiani – non poteva rinunziare del tutto e all’improvviso alla sua identità. Così, il cristiano Valentiniano I, quando nel 371 promulgò un placito insieme a Valente e Graziano, cercò almeno di riabilitare la divinazione ufficiale. Tuttavia, la possibilità che venisse usata per nuocere gettava anche su di essa la pesante ombra del sospetto. E difatti, pur proclamando di non voler proibire niente che fosse stabilito dalla religione degli avi, egli ribadiva la pena capitale per chi si fosse dato ai riti notturni; si statuiva inoltre il divieto di consultare gli astrologi e i guaritori.
È ancora Ammiano Marcellino a riferire di come oroscopi, innocui incantesimi terapeutici, rimedi superstiziosi contro le malattie, venissero tutti puniti con la morte. Ormai, in pratica, non solo i malefici ma l’intero quadro magico – pagano venivano perseguitati. L’intolleranza, la criminalizzazione globale della magia erano il segno dell’affermazione della nuova fede: la vera religione trionfante si opponeva alla falsa; i vecchi dei e le loro cerimonie venivano ribassati al rango di magia demoniaca. Nel 395 Arcadio e Onorio, eredi dell’imperatore Teodosio, proibirono l’ingresso nei templi pagani e la celebrazione dei riti tradizionali. Nell’anno 409 fu ordinata l’espulsione dei matematici (ossia degli astrologi) da ogni città, il rogo delle loro carte in presenza dei vescovi, la loro deportazione nel caso di inadempienza. Questi decreti passeranno a Teodosio II e verranno raccolti nella legislazione di Giustiniano, che a sua volta costituirà il nerbo del diritto medievale di origine romano – imperiale. 

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