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di Roberto Volterri
Dal Dodecaedro di Tongeren, testimone di una scienza sacra appannaggio dei druidi, all’alluminio e ferro inossidabile dell’antico oriente, gli antichi mostrano ancora una volta di essere possessori di una sbalorditiva conoscenza “fuori contesto”.
Gallia, 54 a.C. Un prigioniero dell’esercito degli Eburoni suggerisce che in sole tré ore, secondo quanto annotato da Caio Giulio Cesare nel Libro VI del suo De bello gallico, i soldati “… avrebbero potuto raggiungere la cittadina di Atuatuca dove le truppe dei Romani avevano ammassato tutti i loro averi”. Ma se oggi cercassimo Atuatuca, dovremmo cercare invece Tongeren, il nome moderno di quella cittadina delle attuali Fiandre. A Tongeren c’è l’interessante museo gallo-romano, edificato proprio su quello che fu il sito di una lussuosa villa romana, dove è conservato un piccolo oggetto in bronzo datato al V secolo d.C. e rinvenuto alla fine dell’Ottocento durante scavi archeologici nel Nivernese. Mi risulta che esistano altri oggetti molto simili a quello di Tongeren, tutti rinvenuti in aree dominate dal culto druidico. Si tratta di un Dodecaedro che mostra un foro su ciascuna delle sue dodici facce e che presenta una piccola sfera in corrispondenza di ciascuno spigolo. Cos’era? L’ipotesi è che il Dodecaedro di Tongeren sia stato concepito come oggetto legato al mondo delle idee, a una concezione magica del cosmo intero, a un tentativo di rappresentare il mondo reale per cercare di influenzarlo.
I cinque Solidi Platonici
Perché un solido regolare come un Dodecaedro veniva assimilato all’intero universo? Perché ci si era già resi conto di quanto fossero rare figure solide dotate di simmetria. Solo cinque sono i poliedri regolari che la geometria solida offriva a chi cercava strette analogie tra il mondo delle idee, l’universo matematico e l’universo fisico. È a Plafone che viene attribuita la scoperta dei solidi simmetrici che da lui hanno preso il nome: il cubo, il tetraedro, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro. Nel Timeo (XX, 55), Piatene associa la “quinta combinazione” – il Dodecaedro – all’intero creato. Enorme fu la fortuna che questi cinque Solidi Platonici trovarono nella cultura occidentale. I solidi geometrici regolari, i Solidi Platonici e il nostro Dodecaedro assursero a modello matematico per cercare un collegamento tra macrocosmo e microcosmo, poiché le idee che si avevano sull'”infinitamente grande” si riflettevano nell'”infinitamente piccolo”.
Per quanto riguarda il Dodecaedro, estremamente interessante appare il constatare come nella Magna Grecia fossero stati rinvenuti molti cristalli di pirite con struttura dodecaedrica. Cristalli a cui ci si potrebbe essere ispirati per aver conferma della stretta corrispondenza tra “ciò che è in alto” e “ciò che è in basso”.
Ausilio didattico?
Perché non ipotizzare che il Dodecaedro di Tongeren abbia svolto un ruolo simile a quello del ben più famoso Fegato di Piacenza utilizzato dagli aruspici etruschi per insegnare ai discepoli l’etrusca disciplina?
O che sia stato usato dai druidi per spiegare ai discepoli la struttura stessa del creato? Forse esso era qualcosa di simile al curioso gioiello realizzato con fili d’oro che i saggi tibetani utilizzavano per illustrare la nascita della materia dal Caos Primigenio, il concetto di Uovo Cosmico, le due opposte polarità del Bene e del Male.
Ferro inossidabile
Delhi, V secolo d.C. Qui, attraversata la più antica moschea indiana, ci appare tuttora una maestosa colonna, infissa nel terreno molto tempo fa. E di ferro e imponente. Si tratta di una colonna cui, negli ultimi sedici secoli, nessun accenno di ruggine ne ha intaccato la superficie, anzi appare liscia e quasi splendente.
Si è appurato che fu realizzata con tanti piccoli tasselli uniti tra loro per saldatura. Questo strano cilindro di ferro purissimo ha un diametro di circa quaranta centimetri, fuoriesce dal terreno per sette metri e peserebbe oltre sei tonnellate. Ma è probabile che sia stata realizzata molto tempo prima da espertissimi metallurgisti dei quali non ci è giunta notizia.
Alluminio in Cina
Cina, III secolo d.C. In questa lontana parte del mondo si svolgono i solenni funerali del generale Chou Chu (265-316 d.C.). Gli archeologi cinesi, verso la fine degli anni ’50 del XX secolo, scavano il sito in cui è situato il sepolcro del valoroso generale e rinvengono una strana fibbia. Esami metallografici eseguiti presso l’Istituto Cinese di Fisica Applicata dell’Accademia delle Scienze hanno appurato che è composta dal 5% di manganese, dal 10% di rame e dall’ 85% di alluminio! Qui la vicenda rasenta l’incredibile, perché il procedimento elettrolitico per produrre alluminio dal minerale bauxite è stato ideato nel 1808 e messo a punto solo nel 1854! La vicenda appare stranissima soprattutto perché per ricavare alluminio dalla bauxite si richiede l’impiego di corrente elettrica ad altissima intensità di corrente, fino a 300.000 Ampère!
Archeometallurgia etrusca
Isola d’Elba, luglio 2001. Chi scrive queste note si reca sulla bellissima isola che vide l’esilio di Napoleone per partecipare ad alcune giornate di studio organizzate dall’Associazione Italiana di Metallurgia per partecipare a esperimenti. Deus ex machina di una serie di esperimenti sulle antiche tecniche utilizzate dagli etruschi per produrre ferro, partendo da minerali di ematite – di cui l’Elba è particolarmente ricca – è Gino Brambilla, Ispettore onorario per l’archeologia dell’Isola d’Elba. Questi ha realizzato alcuni forni per illustrare come fosse possibile produrre del ferro con mezzi relativamente semplici, tutto ciò fino alla fine del I secolo a.C. Purtroppo lo scorrere del tempo ha cancellato quasi del tutto gli originali forni e le antiche officine etrusche, ma qualcosa è rimasto e Gino Brambilla ne ‘i;i cercato le tracce.
Nel V secolo a.C. gli etruschi avevano realizzato un centro per la produzione del ferro presso la loro fortezza edificata sul Colle S.Bartolomeo, nei pressi del paese di Chiessi. Degli antichi forni rimane qualcosa risalente al XII secolo, che ha consentito all’energico sperimentatore di realizzare fornaci in stile etrusco. Tre grandi massi di granito, disposti a semicerchio e poggiati su un basamento di argilla, costituivano metà della struttura del forno; l’altra metà era realizzata con blocchetti di granito più piccoli che gli davano una forma praticamente cilindrica. Apposite aperture consentivano l’uscita delle scorie di fusione, mentre un tubo di argilla provvedeva a convogliare nel forno l’aria prodotta da un grosso mantice. Si versavano nel forno alcuni chili di carbone di legna seguiti da manciate di ematite frantumata e, quando la temperatura interna raggiungeva i 1300°C, si riempiva il forno di carbone: dopo circa un’ora, si versavano nel forno circa dieci chilogrammi di ematite triturata. Si ripetevano le operazioni più volte: dopo circa due ore iniziava la fuoriuscita delle scorie, finché il minerale era del tutto ridotto. Abbattuto il muretto di piccoli blocchetti di granito, si estraeva una sorta di spugna di ferro, che dava origine a lingotti di ferro con cui si realizzavano armi e utensili. Ma le cose, ben più di venti secoli fa, andavano proprio così? E estremamente probabile: almeno è quanto ci garantisce l’archeologia e ciò a cui ho assistito, mentre Gino Brambilla provvedeva a tutte le operazioni descritte. Tranne una.
Troppo faticoso azionare l’enorme mantice realizzato per l’occasione. Un potente aspirapolvere, azionato al contrario, lo ha efficacemente sostituito, in una suggestiva commistione di tecnologie antiche e comodità moderne.
LE PIETRE GEOMETRICHE DI HUENTELAUQUEN
II Dodecaedro di Tongeren non è l’unico manufatto che riporta a conoscenze matematiche e geometriche tipiche delle Accademie Platoniche dell’antichità. È in Cile che troviamo i riferimenti più remoti a questo tipo di conoscenza. Le pietre geometriche della cultura Huentelauquén rappresentano la più antica forma di codificazione di concetti matematici aurei e universali, risalendo al 7500 a.C.
Un enigma archeologico che viene cosi descritto dall’antropologo e archeologo Juan Shobinger dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia di Città del Messico: “Nei trenta anni che sono trascorsi dai primi studi sul complesso archeologico di Huentelauquén non sì è riusciti a risolvere gli enigmi posti dalle pietre geometriche: la loro origine, la loro funzione e la loro cronologia sorprendentemente antica nell’ambito di un gruppo di cacciatori andini teoricamente primitivi”. Noi reputiamo che tali reperti rappresentino un indizio solido per chi considera la geometria sacra una conoscenza che proviene da tempi in cui un’altra cultura dominava il pianeta.