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Impossibile ma vero
di Michele Manher
Sul vaso di Dorchester sono incisi disegni che riproducono piante estinte del carbonifero superiore e che erano ancora sconosciute all’epoca in cui il vaso fu scoperto.
Il 5 giugno del 1852, sul n° 38 della rivista Scientific American, sotto il titolo Una Reliquia d’una età scomparsa, era riportato il seguente articolo: “Pochi giorni fa una potente esplosione è stata prodotta nella roccia alla Meeting House Hill, nel quartiere di Dorchester. L’esplosione ha prodotto un’immensa e pesante quantità di pietrame, scagliando piccoli/rammenti in tutte le direzioni. Tra di essi, è stato raccolto un vaso metallico frammentato in due parti a causa dell’esplosione. Riuniti, i frammenti formano un vaso a mo’ di campana, alto 11,4 cm con 16,5 cm alla base, 6,3 cm alla sommità e circa tre millimetri di spessore. Il corpo di questo vaso assomiglia nel colore allo zinco. Sui lati vi sono 6 figure d’un fiore splendidamente intarsiato nell’argento puro e attorno alla parte bassa del vaso una pergola, intarsiata anch ‘essa nell’argento. Il cesello, l’incisione e l’intarsio sono squisitamente eseguiti dall’arte di un abile artigiano. Questo strano e sconosciuto vaso è ora in possesso del Signor John Kettell. Il Dr. J. V. C. Smith, che ha esaminato centinaia di curiosi utensili domestici, non ha mai visto qualcosa di simile.
Non vi è alcun dubbio tuttavia che questa curiosità fosse saltata fuori dalla roccia, come già asserito ma, Professar Agassiz, può dirci per favore come questo vi sia giunto? Quanto asserito sopra proviene dal Transcript di Boston e quello che ci stupisce è come esso possa supporre che il Prof. Agassiz sia più qualificato di John Doyle, il fabbro ferraio, nel dirci come il vaso sia giunto lì. Si tratta di una questione relativa a un antico vaso metallico, forse fatto da Tuba-Cain, il primo abitante di Dorchester”. Questo articolo, pubblicato dall’autorevole rivista Scientific American, è in pratica una “carta d’identità” del vaso. E impossibile, con un simile autorevole certificato di nascita, sostenere che esso non sia mai esistito o che sia stato creato ad arte di recente. È possibile allora individuare non solo l’età della roccia in cui il vaso si trovava inglobato, ma soprattutto l’età stessa del vaso in questione?
L’età della roccia
La Boston Society of Civil Engineers svolse negli anni ’60 un’indagine geologica sul suolo della città di Boston, poi pubblicata nel Journal of thè Boston Society of Civil Engineers (vol.51, aprile 1964, n° 2, pp. 111-154). In questa relazione leggiamo che “// gruppo della baia di Boston è stato diviso in due formazioni da Emerson (1917) e La Farge (1932). Queste sono il conglomerato Roxbury e lo strato superiore Cambridge. Il conglomerato Roxbury è stato diviso in tre mèmbri che sono: il conglomerato Brookiine, lo strato Dorchester e a tillite di Squantum. Billings (1929) riconobbe tré formazioni che, in ordine stratigrafico, lui chiamò conglomerato Roxbury, tillite di Squantum e argillite Cambridge. I geologi hanno riconosciuto la sua tendenza a cambiare sia gradalamente che improvvisamente nelle caratteristiche litologiche. Recentemente, Billings ha chiaramente dimostrato l’interconnessione del conglomerato Roxbury con l’argillite Cambridge. In uncerto senso, tutte le formazioni e i membri fin qui menzionati sono puramente aspetti del gruppo della baia di Boston, che includono argillite, scisto argilloso, arenaria, conglomerato, tillite e melàfiro. In aggiunta, le sequenze degli strati sono complicate nei siti dal diabase e da estrusioni melafìriche. Queste rocce sono completamente prive di fossili, eccetto la parte superiore del conglomerato Roxbury che offre forme cilindriche e ceppi di radici o tronchi d’albero (Burr e Burke, 1899). In accordo col Professar Elso, gli esemplari sono o Callixylon o Cordaites, generi che si estendono in un periodo che va dal Devoniano superiore al Permiano”. Poiché tra il Devoniano superiore e il Permiano c’è il Carbonifero, è dunque chiaro che la roccia sedimentaria del conglomerato Roxbury si sia formata intorno ai 320 milioni di anni fa.
È noto, come si può vedere chiaramente dalla carta geologica, che la collina della Meeting House Hill, situata nel quartiere di Dorchester Sud e nella cui roccia sarebbe stato ritrovato il vaso, si trova in pieno conglomerato Roxbury. A Boston, nei quartieri di Roxbury e Dorchester, i clasti inglobati nel duro cemento siliceo della roccia puddiriga, sono costituiti primariamente da quarzite, granodiorite, felsite e melàfiro.
Tra questi clasti, inglobato anch’esso nel cemento siliceo della roccia, si sarebbe trovato il vaso di Dorchester.
L’età del vaso
Le incisioni sulla superficie del vaso riproducono alcune piante estinte del carbonifero superiore che, all’epoca della scoperta, erano ancora del tutto sconosciute.
E vero che, già fin dal ‘700, esistevano ampi trattati sulla flora del Carbonifero, poiché dalle miniere di carbone venivano continuamente estratti reperti fossili di piante appartenenti a quell’era geologica. Tuttavia, come dimostra il paleobotanico Henry Andrews jr., nel suo Ancient plants and thè worid they lived in (New York 1964), “Uno dei primi veri contributi alla flora del Carbonifero della Gran Bretagnafu il libro di Edmund T. Artis, Filologia antidiluviana (1838). Le illustrazioni sono d’una qualità superiore a quella dei suoi predecessori e il libro è citato come referente ai nostri giorni per ciò che concerne le piante del Carbonifero”. Nello stesso anno uscì anche il Traile de Paléobotanique, pubblicato sotto la direzione di Édouard Boureau (Parigi, 1964). Si tratta di un trattato completo, dove vengono riportati tutti i ritrovamenti di piante estinte finora conosciute. Ebbene, nessuna delle piante pubblicate nella prima metà del XIX secolo ha qualcosa a che vedere con le piante incise sul vaso di Dorchester. Quella disegnata per 6 volte sui fianchi del vaso ha “il fusto tozzo con un verticillo a otto foglie molto strette alla base e via via sempre più larghe, dal tragitto slanciato e curvo. Il margine tenninale contiene alcuni denti”. Queste parole sono tratte dalla pag. 69 del III volume del Tratte de Paléobotanique che l’autore utilizza per descrivere uno Sphenophyllum laurae.
Una descrizione analoga, con la differenza che il verticillo è a sei foglie, Boureau la fornisce anche per lo Sphenophyllum kidstoni. Ebbene, l’anno di prima pubblicazione dello Sphenophyllum laurae è il 1953, mentre per lo Sphenophyllum kidaani è il 1931. Esse appartengono al Carbonifero superiore, cioè a 320 milioni di ami fa. Nel vaso di Dorchester, lo Sphewphyllum è riprodotto in scala 2:1, cioè ingrandito del doppio rispetto alle dimen”coi reali. Per quanto riguarda i ramoscelli con piccole foglioline che decorano il resto del vaso, tra i fossili attualmente ce n’è uno solo simile a quello riprodotto nel vaso: è lo Sphenopteris golden bergi. Ancora una volta, una pianta scoperta in epoca successiva a quella della scoperta del vaso e, ancora una volta, proveniente dal Carbonifero superiore. Anche per quanto riguarda questa pianta, la misura di riferimento del centimetro-campione ci fa capire che è riprodotta ingrandita anch’essa due volte. Cosa può essere successo? Esistono altre prove d’una presenza umana nel Carbonifero superiore, quando non esistevano ancora neppure i dinosauri e i primi mammiferi, che secondo le evidenze ufficiali, non passavano ancora neanche per la testa del Padre Eterno? Ebbene sì, queste altre prove esistono.
Eccone alcune:
1) Nel dicembre del 1862 la rivista londinese Thè Geologist pubblicò la seguente notizia: “Nell’Illinois, in uno strato dicarbone situato sotto una copertura d’ardesia alta più di mezzo metro e alla profondità di circa trenta metri sotto il livello del suolo, sono state trovate delle osssa umane-“.
2) Il Direttore del Dipartimento di geologia del Berea College, il prof. W. G. Burroughs, ha pubblicato (pp.46-47) sulla rivista Thè Berea Alumnus le seguenti parole: “Durante l’inizio del Carbonifero superiore creature che possedevano piedi umani lasciarono delle orme su una spiaggia della contea di Rockcastle e in altre contee del Kentucky, esistevano creature dotate di piedi dall’aspetto umano che camminavano servendosi degli arti posteriori. L’autore dello scritto ha dimostrato l’esistenza di tali creature nel Kentucky. Con la coopcrazione del dottor C. W.Gilmore, curatore per la Paleontologia dei vertebrati alla Smithsonian Instìtution, è stato provato che tali esseri vivevano anche nella Pennysilvania e nel Missouri”. Dunque come la mettiamo?