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I rilievi di Dendera: simbolismo allegorico o progetto occulto di un’ancestrale forma d’illuminazione ? Ricercatori e studiosi svelano ardite teorie indicando come “lampade giganti” le insolite decorazioni delle buie cripte.
di Antonio ROSSI
Illustri studiosi, davanti a queste rappresentazioni, hanno provato stupore poiché mai avevano ammirato nulla di simile. Forme bizzarre rivelavano arcani codici sacri, ma quale senso attribuire a fogge di cui non comprendiamo appieno la logica? Per gli antichi Egizi tutto aveva un significato; ogni geroglifico, immagine o colore include un messaggio, per cui molti egittologi attribuiscono alle illustrazioni e alle decorazioni un valore astratto dal profondo senso metaforico.
Lampade elettriche
Audaci studiosi hanno proposto teorie tecnologiche per interpretare i rilievi. Essi sostengono si tratti di lampade elettriche che comproverebbero l’uso di potenti fonti luminose. Degna di nota è la ricerca svolta dagli studiosi Habeck e Krassa, secondo cui i rilievi riproducano processi elettrotecnici. Per provarlo si sono avvalsi dell’interpretazione del dottor Waitkus, che ha decifrato i geroglifici delle cripte. Nei brani trasposti dall’egittologo, alcuni concetti paiono parafrasati e mascherati di proposito, le didascalie forniscono dati precisi su misure e materiali usati e vari termini alludono a fenomeni luminosi. Tutto ciò indicherebbe che i sacerdoti praticassero scienze occulte e che adottassero forme dal significato condito come il loto, il fiore da cui venne la luce.
Energia primordiale?
Le ipotesi dei due ricercatori sono suffragate dai tentativi di W. Gam, un ingegnere elettrotecnico che riprodusse un modellino in scala simulante il marchingegno illustrato nei rilievi. Garn ricostruì le lampade, facendole funzionare in laboratorio tramite un vuoto indotto nel bulbo di vetro. Il test evidenziò la manifestazione di scariche elettriche e la fuoriuscita dal loto di un nastro luminoso, simile a quello del neon. Le obiezioni a tale esperimento ruotano sul dubbio relativo alla fonte dalla quale gli Egizi ricavavano l’elettricità; Garn rispose che forse per produrre alte tensioni usavano un accumulatore e per aspirare l’aria e creare vuoti facevano uso di eiettori. Per Berlitz gli enormi rilievi ricordano grandi lampade, poggiando sull’allusione circa l’esistenza di una civiltà predinastica dalle conoscenze superiori. Anche P. Kolosimo, in alcuni saggi, evidenziò che gli antichi Egizi adottavano sorgenti luminose, definite “lampade magiche”.
Scienza occulta
Più attuali le teorie di Von Daniken, il quale condivide il lavoro di Habeck e Krassa. Secondo il suo punto di vista, il loto è lo zoccolo con la vite di una lampadina; lo Zed è l’isolante per cavi elettrici; il dio dell’aria è il vuoto e la scimmia, con i coltelli affilati, il pericolo cui si espone un individuo non preparato. La scena sulle pareti parrebbe la celebrazione della pratica misterica di una scienza occulta: quella dell’elettricità, prova che nel tempio si custodissero segreti tecnico-scientifici.
Sistemi d’illuminazione
L’illuminazione artificiale in Egitto era una necessità. Clemente d’Alessandria attribuisce al popolo del Nilo l’invenzione delle lampade, coppe di pietra o argilla piene d’olio nelle quali si immergeva uno stoppino di tela e l’uso comune di torce composte da masse romboidali di grasso fissate su un bastone. Gran parte degli esperti sostiene che gli artisti adoperassero tali strumenti per illuminare. Nel cuore di templi e tombe, pareti, pavimenti e soffitti sono coperti di geroglifici e delicate pitture; opere di tale raffinatezza esigevano potenti sorgenti luminose, torce e lampade bastavano solo a rischiarare piccoli lembi di pietra. Si suppone che gli artisti usassero del sale per impedire che si liberasse fumo, ma alla soluzione di quest’inconveniente sarebbero dovuti pervenire solo dopo molteplici tentativi mediante complesse nozioni di chimica e d’interazione fra le sostanze.
Registri di pietra
L’archeologo Ghoneim si dichiarò certo che i suoi antenati detenessero segreti scientifici.
Quest’antico popolo sapeva maneggiare le energie della materia?
Scarsi sono i ritrovamenti e i riferimenti sull’uso di manufatti adibiti all’illuminazione. Uno di questi proviene dagli scavi nella Valle dei Rè, alla scoperta della tomba dei figli di Ramses II. In diverse camere, sono stati rinvenuti supporti litici usati come promemoria, uno dei quali una sorta di ricevuta attestante la consegna di 200 lampade a olio ai lavoratori della tomba. I superstiziosi Egizi volevano difendersi dai demoni, dai quali si proteggevano accendendo torce. Le tenebre si credevano popolate di tremendi pericoli e gli attributi dei demoni erano il coltello, il serpente e la scintilla di fuoco. Altre notizie giungono da frammenti trovati in un pozzo abbandonato, adibito a discarica di manufatti, per noi una preziosa fonte d’informazioni. Un operaio, su un pezzo di terracotta, chiede grasso fresco e olio di sesamo per l’illuminazione. Si sa che stoppini e torce venivano cosparsi di grasso con cura, tali oggetti erano candele formate da un pezzo di lino attorcigliato e legato a spirale; esse venivano poste dentro ciotole, a seconda dell’intensità di luce richiesta. Pare che questo materiale, custodito da un “guardiano della tomba”, fosse riposto in un magazzino da cui era tratto all’occorrenza.
Le lampade, a cosa servivano e come funzionavano
II fisico Clarbruno Vedruccio propone che il primo impiego di ciò che è rappresentato nei bassorilievi fosse destinato a generare raggi x a bassa energia, alla ricerca di materiali fluorescenti ai raggi x. Evidentemente, il creatore di questi dispositivi doveva aver bisogno di qualcosa che emettesse tali radiazioni. Il disegno che mostra il dio Thot con i coltelli alzati davanti alla lampada fa comprendere al tecnico che quella zona è pericolosa. Nelle foto di Dendera, la serpe ha la testa rivolta verso l’alto: si tratta della deformazione della scarica di ionizzazione “serpe”. Torniamo alle lampade, che sembrano oggetti di moderna fattura. E se fosse il contrario? Vedruccio ipotizza che quando Mariette pubblicò la sua opera su Dendera, nel 1869, Thomas Edison non aveva ancora realizzato la lampadina a incandescenza. Da notare, che lo scienziato inglese Sir William Crookes, cultore di esoterismo, realizzò una serie di ampolle in atmosfera rarefatta che permise poi al grande Roentgen di scoprire i raggi x nel 1895. Il disegno dell’epoca è illuminante, dove si può vedere il tubo di Crookes ancorato a un supporto e alimentato tramite un rocchetto di Ruhmkorff. La lampada ha un filo che entra dalla parte più stretta, l’altro elemento, il polo positivo, è collegato al terminale di alta tensione del trasformatore di impulsi. Anche questo polo è assimilabile a quello della lampada di Dendera: il punto in cui i braccetti fuoriescono dal pilastro Djed ed entrano nella lampada. I punti di ancoraggio sono troppo simili per essere un caso.
Chiaramente, si tratta di prove indiziarie ma Vedruccio ipotizza possibile che alcuni padri della scienza moderna siano stati incuriositi dalle incisioni di Dendera e che abbiano cercato di capire, d’iniziare la grande avventura della moderna tecnologia, attraverso un messaggio sepolto da millenni nella cripta di un tempio dell’antico Egitto che solo alcuni di loro avrebbero potuto capire.
Lampade eterne
Chi evoca l’esistenza di una forma di energia primordiale rileva che la forza della luce era al servizio degli dei: nella notte del primo dell’anno nei templi si accendevano lumi, Plutarco in proposito parla di “lampade eterne”.
Per il modello di pensiero egizio, la luce disperdeva l’oscurità e scongiurava le forze tifoniane; era compito del dio Thot proteggere la luce dalle tenebre. Uscendo dalla cripta, quelle immagini così ambigue ci costringono a brancolare ancora nel buio.
UNA SCARICA ELETTRICA A DENDERA
In Egitto, ho avuto modo di visitare la cripta sud del tempio di Deriderà. Obiettivo: cercare qualcosa che potesse dare ulteriore conferma all’ipotesi elettrica delle “lampade”.
La mia opinione è quella che a Dendera fossero celebrati i riti dedicati alla creazione e il fatto che le simbologie impiegate dai sacerdoti fossero il loto (simbolo della nascita di Ra), il serpente (la potenza da cui si crea la vita) il bulbo (simbolo analogo a quello fallico) e il pilastro Djed (colonna vertebrale di Osiride) potrebbero essere un valido indizio. La stessa dea Hathor è l’archetipo femminile e nei tempi più antichi era la madre di Horus, solo successivamente sostituita da Iside. Ritengo che, circa i rilievi di Dendera, il significato tecnologico possa coesistere con quello simbolico. Nel bassorilievo precedente a quello delle due lampade, ho individuato che all’interno della sfera posta sulla barca di Ra simbolicamente il percorso del Sole – la raffigurazione di una scarica elettrica sembra suggerire un segreto impiego tecnologico per quegli oggetti e la conoscenza dell’elettricità da parte dei sacerdoti egizi. Un elemento sinora sconosciuto a tutti i ricercatori di frontiera, ma che chiunque può da oggi verificare.