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Sulla scorta di scritti autorevoli che affermano la realtà della magia,dei sabba, degli osceni commerci col demonio, si scatena nel Quattrocento una vera caccia alle streghe. Che acquisterà in breve una violenza inaudita.
Conformità, suggeriva Eymerich. Nella “scelta delle sentenze”, innanzitutto. Ma c’era conformità anche nelle confessioni: non solo in quelle di Pierina e Sibillia, ma anche quelle degli altri imputati avevano straordinari punti di contatto, come le descrizioni identiche di fatti e luoghi lontani tra loro e rilasciate da imputati che non si conoscevano. Conformitas è una parola chiave nei processi dell’Inquisizione e dei tribunali in genere. Era una prova incontestabile che ciò che dicevano gli imputati non era frutto di sogni o illusioni, ma di concretissima realtà che avvenivano all’oscuro degli inquisitori e dei buoni cristiani, o, per meglio dire, contro di loro.Ne conseguiva che quella “nuova” setta di adoratori del diavolo, la stregoneria, non aveva niente a che vedere con quelle compagnie notturne, tendenzialmente oniriche, di cui parlava il Conan Episcopi:le streghe, ora, sono un fenomeno maledettamente reale.
NON CREDERCI E’ DIABOLICO
A sottolineare con fermezza tale differenza è il francese Pierre Mamoris, professore di teologia dell’Università di Poitiers, nel suo Flagellum Maleficorum (1460 ca.).In questo scritto, invero un po’ contraddittorio, l’affermazione della realtà della magia è netta e basata sull’esperienza:i sabba, come si chiameranno da ora in poi i raduni notturni, sono realissimi e quindi pericolosi.Al vecchio concilio di Ancira, che ancora si crede alla base del Canon, avevano partecipato pochi prelati, e l’opinione di pochi di fronte a problemi tanto gravi non può bastare.
Inoltre, questo Flagellum contiene una confessione che diventerà un cavallo di battaglia di tanti giudici. Un famoso mago, Guillame Hameline, confessa di aver fatto un patto con il demonio. Addirittura pare abbia mostrato un biglietto in cui il diavolo in persona gli ordinava di chiamarlo Signore e di predicare sempre, in qualsiasi situazione pubblica, che la setta degli stregoni era una fantasia, non un fatto reale. Il commento del teologo è scontato: non solo i poteri degli stregoni sono veri, hanno conseguenze reali e provocano danni, ma la tesi del loro carattere illusorio è essa stessa diabolica. Se il Canon e parte dell’antica tradizione ecclesiastica giudicavano eretico chiunque credesse le strane storie delle cavalcate di Diana, ora è eretico colui che non crede che queste cose esistano: l’ostacolo maggiore, per lo meno teologico- giuridico, alla persecuzione delle streghe è infine superato.
MEDICINE O ESORCISMI?
Eppure, solo pochi anni prima, il domenicano Johann Nider, pur credendo fermamente nella stregoneria, nel suo Formicarius invitava ancora alla moderazione e alla ragionevolezza, riconoscendo che in alcuni casi alle connette accusate di magia e stregoneria, i medico era più adatto del sacerdote, e le medicine più efficaci degli esorcismi. Ma la sua voce non venne molto ascoltata, e nel frattempo la Chiesa dimostrava di aver scelto un’altra strada, pernicosa e gravida di nefaste conseguenze: in un abolla del 1° agosto del 1451, il papa Ncolò V esortava l’inquisitore Pierre Lenoir a perseguitare e punire “sacrilegos et divinatores etiam si haeresim nos sapiant manifeste”, anche quando non in presenza di vera e propria eresia. Siamo al capovolgimento della vecchia bolla di Alessandro IV:è l’inizio della vera e propria “Caccia alle streghe”.
Nel Quattrocento viene portato a compimento il duplice processo che era andato maturando per tutto il secolo precedente: la differenziazione tra le “semplici” credenze di Pierina e Sibillia con quelle dei “modernis temporibus” e la fusione tra il reato di eresia e quello di stregoneria, ora considerata una setta completamente nuova, compatta a fuori legge. Proprio alla metà del secolo Nicolas Jacquier mette a fuoco la questione nel suo Flagellum haereticorum fascinatorium (1458): “Da quanto ho detto e dirò, si potrà agevolmente riconoscere quanto sia grande la differenza tra la setta e l’eresia degli stregoni, che adorano i diavoli che loro appaiono percettibilmente ai loro sensi esteriori e quella trattata dal Canon Episcopi, cioè quelle donne illuse che credevano di essere trasportate in sogno al seguito di Diana o Erodiade”. Nelle sue analisi, quindi, “appare manifesto che queste cose avvengono corporalmente , nella veglia. Dunque, questa setta differisce da quella di cui si parla nel suddetto capitolo del Canon Episcopi, che non si riferisce a niente di tutto questo”.
IL SABBA È SERVITO
PIÙ ANCORA, Jacquier scrive, e fonda, quell’immagine del sabba delle streghe (del marchio e dell’adorazione diabolici), che diverrà il punto di riferimento dei suoi colleghi futuri:” In questo anno, nel 1458, un tale, secondo la legge, confessò spontaneamente che un tempo, all’epoca aveva cinque o sei anni, sua madre lo portò alla sinagoga degli stregoni insieme a un fratello piccolo che portava in braccio e a una sorella, e offrì i suoi tre figli al diavolo che appariva sotto le spoglie di un caprone, insegnando che era il loro signore e maestro e che avrebbe loro procurato molti beni. E sempre la madre e che i figli toccassero il diavolo sul capo del corpo che aveva assunto e lo stesso diavolo, che chiamavano Tonio, toccò con la zampa anteriore i tre fanciulli sulle cosce e vi impresse un segno indelebile”. Pertanto, conclude l’Inquisitore, “le azioni e i raduni di questa eresia e setta degli stregoni non sono illusioni fantastiche, bensì perversi e perfidi atti reali e corporali, compiute da persone sveglie”.
IL MALLEUS MALEFICARUM
Per tutto i secolo non mancarono voci che invitavano alla clemenza, alla prudenza nel giudizio, alla ragionevolezza ma, il 5 dicembre 1484, un papa, Innocenzo VIII, partecipando attivamente alla discussione sulle streghe, conferisce enormi poteri a due inquisitori che svolgono con molto, troppo zelo il loro compito nella Germania del Nord, tra Colonia e Magonza. Per confermarli nel loro amndato e aiutarli contro le resistenze delle autorità locali, il papa scriverà la tristemente nota bolla Summis desiderantes affectibus.Qui il pontefice, “desiderando con tutto il cuore” l’affermazione del cristianesimo e la vittoria su ogni eresia, lamentando come sia giunto al suo orecchio che in Germania” parecchie persone di entrambi i sessi, non tenendo a mente la propria salvezza e allontanandosi dalla fede cattolica, non temono di concedersi carnalmente a diavoli incubi e succubi, di far deperire fino alla morte la prole delle donne e degli animali, le messi della terra, le uve delle vigne e i frutti degli alberi,e ancora vigneti, giardini, prati, pascoli, biade, cereali, legumi per mezzo di incantesimi [..] di impedire agli uomini di generare, alle donne di concepire e di rendere impossibile al marito e alla moglie di compiere il proprio dovere coniugale. Né temono di rinnegare persino quella fede che hanno ricevuta con il santo battesimo e di compiere e commettere tanti altri nefandi crimini ed eccessi, per istigazione del nemico del genere umano..”
UN VERO BEST SELLER
Niente di sorprendente o di nuovo, quindi, ma la bolla ebbe l’onore di essere stampata come prefazione del Malleus Maleficarum, il nuovo manuale dei due inquisitori a cui era indirizzata (o, viceversa, fu il Malleus ad avere l’onore di essere introdotto in una bolla papale).
In realtà, per quanto ampio, questo trattato non aveva niente di originale nella sostanza:persino nella struttura ricorda il Directorium di Eymerich e, inoltre, non trattava più di tanto aspetti che in seguito diventeranno un classico nelle confessioni, come il sabba, il bacio osceno o il signum diaboli, il marchio del diavolo. Ma l’ordinata procedura delle argomentazioni, il fatto che fosse scritto in forma di disputa scolastica, in cui venivano offerte risposte a una serie di quaestiones, l’enorme diffusione che ebbe grazie alla nuova invenzione della stampa e, non ultimo, il fatto di essere accompagnato da una bolla papale, lo fecero diventare un vero e proprio best seller degli inquisitori e dei giudici in genere: prima edizione a Strasburgo intorno al 1486 e, nello stesso anno, a Spira, a Lione; due anni dopo nuovamente a Strasburgo, quindi a Magonza;ancora tre successive in tre anni a Spira, quindi a Colonia, Norimberga, Parigi, Lione, Venezia, Francoforte..Ancora nel 1576 il Manghi, nel suo Compendio dell’arte esorcista, per prevenire l’accusa di plagio del Malleus, si difende scrivendo:”Né si deve ammirare alcuno ch’io tanto mi servo degli esempi loro, posciachè il tutto si contiene in una bolla di Papa Innocentio VIII..”.
INFORMAZIONI PRESE SUL CAMPO
La sua vera novità, che ritroveremo anche nelle successive opere sull’argomento, sembra essere la spiccata, quasi patologica misoginia dei due giudici, e la conseguente credenza che la donna fosse più attratta dell’uomo verso il crimine di stregoneria. Scopo dichiarato dei due, fu quello di eliminare sistematicamente, fondandola puntualmente, ogni argomentazione che potesse far dubitare della realtà della stregoneria. L’efficacia del libro fu non solo nella sintesi che attuava, ma anche nel fornire un supporto teologico alle idee che intendeva promuovere, una consulenza legale in materia di processi alle streghe e, ancora una volta, nel sostenere ciecamente che chi negava l’esistenza della stregoneria era un eretico.
Si è a lungo discusso sulle responsabilità del Malleus nella virulenta caccia alle streghe che seguì la sua pubblicazione e, anche se non si può sostenere che questa fu la causa diretta di quella, di certo il Malleus rese i giudici più consapevoli del presunto crimine di stregoneria e, forse, più convinti della sua realtà.
Inoltre, conteneva quel tanto di informazioni ottenute “sul campo” dai due inquisitori, suffragate da citazioni e argomentazioni teologiche da apparire estremamente autorevole, come in fondo dimostrava quella bella posta a introduzione di molte delle sue edizioni. In fondo, anche i libri possono uccidere. Solo, lo fanno con più discrezione.
Il manuale è diviso in tre parti, la prima delle quali incentrata sulla reale esistenza della stregoneria, la seconda sulle cause per cui sono soprattutto le donne a esserne coinvolte, la terza è quella normativa in cui si parla dell’opus iudiciale. Ripromettendoci di parlare più tardi per lo meno della seconda parte, vediamo subito l’ultima, quella che nelle intenzioni degli autori avrebbe dovuto avere un impiego più pratico e più utile ai giudici.
ALL’INQUISITORE LE PROVE NON SERVONO
Già nel modo di aprire l’azione processuale appare chiara quell’eversione dei principi del diritto che sarà una costante del Malleus , degli altri manuali del genere e di gran parte dell’attività giudiziaria in questo settore. L’azione, dunque, potrà cominciare in tre modi: con la denuncia manifesta da parte di un accusatore che si impegni a fornire le prove, sotto pena del taglione se non riesca a darle; con la denuncia non manifesta, ossia l’accusatore non è obbligato a dare le prove e non si impegna a intervenire nel dibattimento, agendo solo “per zelo della fede o per timore di scomunica”; senza neanche il denunciante, quando il tribunale agisce d’ufficio” a causa della diceria, in questo caso, il giudice vuole procedere d’ufficio contro costei senza la citazione generale…ma solamente perché tali voci sono giunte frequentemente alle sue orecchie”. Quest’ultimo caso, della delazione occulta, avrà grande fortuna, se Jean Bodin, nel suo De la demonomanie des sorcies (1580), parlerà del “lodevole costume di Scozia, che a Milano si chiama Indetto, ossia che vi sia una cassetta nela chiesa dove ognuno possa introdurre un biglietto di carta con il nome dello stregone, indicando il fatto da lui commesso, il luogo, il tempo, i testimoni”. Non si pensi a una trovata estemporanea! La cassetta, aperta ogni quindici giorni, era sotto la tutela del giudice e del procuratore fiscale, ognun dei quali aveva una chiave per aprire le due differenti serrature. Da un punto di vista giuridico, la Chiesa considerava la pubblica infamia come assolutamente equivalente a un’accusa promossa da un privato. Dopo il giuramento di rito, il giudice dovrà chiedere al denunziante se riferisce le accuse per averle viste personalmente o se per sentito dire, se ha visto, per esempio, qualcuno entrare in una stalla o toccare gli animali (presumibilmente per stregarli), dica dove, quando, quante volte, in che modo, in presenza di chi. Per ciascuna dichiarazione, il notaio faccia quindi un articolo separato che conserverà.
Tutti Contro Tutti
Riguardo ai testimoni, è consigliato di ammettere anche coloro che sono nemici giurati dell’imputato e persino gli eretici, i servi infami e delinquenti contro il proprio padrone, le stesse streghe e le moglie contro il marito e i figli contro il padre. Siamo qui al sovvertimento della pratica inquisitoriale prevista da Eymerich che nel uo manuale, al punto “Un eretico può testimoniare contro un fedele o in suo favore?”, risponde chiaramente: “No”. Non è mai stato previsto che un eretico possa testimoniare né a carico né a discarico di un fedele”. Sprenger, però, pone una condizione a che i succitati testimoni intervengano nel processo: a patto che la testimonianza sia contro e non a favore dell’indiziato.
Nell’interrogatorio il giudice (che non deve avere fretta, ammonisce il Malleus) parte da alcune presunzioni di colpa particolari, a lui note attraverso la trattistica teologica o dall’esperienza procedurale o dalla lettura dei testi. Non cerca, cioè, la verità o realtà dell’accusa, bensì sembra ricavare dalle risposte quegli elementi indiziari che possono consentirgli di individuare quella che potremmo definire la costituzione delinquenziale della strega o dello stregone.
STRETTI IN UNA MORSA
Così, lo Sprenger suggerisce di chiedere all’accusato notizie sui suoi genitori, se siano vivi e morti e, in quest’ultimo caso, se siano morti bruciati, perché questo è un grave indizio che peserà sull’imputato. Si sa infatti che le streghe offrono sempre i loro figli ai diavoli e quindi è assai probabile che l’imputato sia in commercio con loro. Contro ogni logica, poi, se il denunziante dice che i genitori dell’accusato siano morti sul rogo, e quest’ultimo invece sostenga che ciò non sia vero, si tenga per buona la dichiarazione del denunziante e si respinga come falsa quella dell’accusato. Si chieda inoltre se la madre dell’accusato abbia mai cambiato dimora: altro segno di gravissimo sospetto. Si diceva infatti che le streghe, quando venivano scoperte, cambiavano mediatamente villaggio per sfuggire ai loro persecutori.
Dagli interrogatoria generalia l’inquisitore passi quindi agli interrogatoria particularia, in modo tale da stringere in una morsa l’imputato. Gli si chieda perché la gente ha paura di lei (o lui), se è a conoscenza del fatto che ah una cattiva fama, se ha ami detto a qualcuno:”Non ti tocchi mai un giorno buono!2, se è mai stata vista toccare gli animali , se ha mai toccato un bambino che poi si è ammalato, se abbia una o due vacche che producono più latte di quanto ne sia prodotto da quattro o sei vacche del vicino.
Questo modo di procedere negli interrogatori, di cui abbiamo già accennato a proposito di Pierina e Sibillia, assume un’importanza particolare per comprendere quella conformitas nelle confessioni di cui parlavamo prima. Avendo un’idea preconcetta su ciò che dovesse significare essere una strega, gli inquisitori sembravano limitarsi a cercarne conferma negli imputati.
Si creava così una perversa dinamica di circolarità che a ogni giro sembrava confermare maggiormente l’immagine di una cristianità messa in pericolo dall’universale cospirazione stregonesca: gli imputati portavano nelle aule le loro credenze, le loro “superstizioni”, che venivano ascoltate e trasformate dai giudici in eresia o prove di appartenenza alla infida setta stregonesca. Questi ultimi, nella tranquillità dei loro studioli, scrivevano dotti trattati nei quali si specificavano meglio credenze, teorie e modi interrogandi. A loro volta questi manuali così concepiti sarebbero andati ad arricchire le biblioteche , le fantasie e le convinzioni degli altri inquisitori che entravano nelle aule dei tribunali a interrogare, torturare, giudicare..
Appendice 1: IL PATTO COL DIAVOLO
Il patto col diavolo fu considerato per secoli della massima importanza nei processi dell’inquisizione, principalmente per due motivi: il primo, consisteva chiaramente nella prova più eclatante che l’eretico aveva rinunciato a Dio. Non riconoscendo a Lui l’esclusiva posizione di preminenza nell’Universo, chi si rivolgeva al diavolo per avere qualunque tipo di potere aveva implicitamente abiurato la fede cattolica. Il secondo motivo serviva ad accelerare il processo: presupponendo che i poteri occulti attribuiti alle streghe provenissero dal diavolo, attraverso un patto, si rendeva lampante la loro connivenza.
La credenza che un essere umano potesse stringere un patto con il diavolo si trova già in Sant’ Agostino ed era presente in un racconto del vescovo di Cesarea Basilio il Grande, capo della chiesa greca nel IV secolo. A quell’epoca uno schiavo innamorato della figlia di un senatore chiede aiuto al diavolo, rinnegando il battesimo e Cristo e sottoscrivendo un patto con lui. Lo schiavo ottiene quello che voleva, ma non così il diavolo che, per intervento di San Basilio, è costretto a cedere il pegno scritto, e a vederlo bruciato pubblicamente.
Più famoso, e documentato iconograficamente nel Salterio della regina Ingeburga, del 1219 circa, è la leggenda di Teofilo, un uomo vissuto in Cilicia sotto il regno dell’Imperatore Giustiniano il Grande. Stava per diventare vescovo ma, a causa di alcune calunnie, gli fu tolto l’incarico. Disperato, si rivolse a un mago ebreo che organizzò un incontro con il diavolo. In sua presenza Teofilo firmò un documento in cui rinunciava a Cristo e ai santi, ottenendo in cambio il suo incarico. Ma da allora la sua vita fu piena di rimorso e pentimento finchè, per intercessione della Vergine, il documento fu miracolosamente strappato al diavolo.
La leggenda di Teofilo, tradotta dal greco al latino, ebbe molto successo, venendo rappresentata a teatro anche in molti Paesi. In seguito storie del genere vennero riportate anche da Walter Map, nel penultimo decennio del XII secolo, e da Cesario di Heisterbach, verso il 1220. Questi racconta di due maghi che a Besancon ingannavano tutti con i loro miracoli, finchè un giorno un religioso invocò il diavolo e mostrò l’origine dei loro poteri: avevano firmato un patto con lui, e ognuno ne portava una copia sotto l’ascella. Tirati fuori i documenti, i due maghi vennero infine bruciati.
Appendice 2: CERCATORI DI STREGHE
Uno dei modi più comuni per riconoscere una strega nei tribunali era quello di osservarne le lacrime. Si riteneva infatti che una strega, anche se sottoposta alle più atroci torture, non fosse in grado di piangere, contrariamente alle donne normali, che si profondono in lacrime e piagnistei. Di questo era sicuramente convinto Jean Bodin nella sua Demonomanie. Ma anche fuori dai tribunali si trovava gente convinta di poter riconoscere una strega con un colpo d’occhio, solamente guardando loro nelle pupille:erano i “cercatori di streghe”. Uno di questi fu un pastore della Borgogna, che nel 1644 diede vita, con il suo “talento”, a una vera e propria espulsione di casi di stregoneria, le cui vittime furono consegnate al tribunale signorile per essere giudicate. In realtà la corte sovrana, certamente più cauta in tali questioni, non accettava questo tipo di prove, come invece facevano le corti locali. Uno dei processi più famosi, guidati da un “cercatore”, si svolse in Francia, nel Bearn, nel 1670. Un ragazzino di sedici anni, garzone di bottega, sosteneva di essere stato una volta al sabba, e per questo di essere in grado di rinascere a prima vista una strega da un segno nero fibromatoso che portava sul viso. Così per lo meno sosteneva lui. Fu condotto in giro per trenta villaggi, in ognuno dei quali gli furono portati davanti i sospetti di stregoneria: nel solo villaggio di Labourcade ne “scoprì”195, per un totale di 6210 in tutti i paesi visitati!