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NELLE UNIVERSITA’ E NELLE SCUOLE D’EUROPA, E SOPRATTUTTO IN QUEL CROCEVIA DI CULTURE CHE FU LA SPAGNA DELLA RECONQUISTA, PERSONALITA’ DEL CALIBRO DI ARNALDO DA VILLANOVA APPROFONDIRONO LO STUDIO DELLA CABALA E DELL’ALCHIMIA
A partire dai secoli XI e XII- e poi con maggior forza nel corso del Duecento- il risorgere dei traffici mediterranei, la Riconquista della Penisola iberica e le crociate, l’organizzazione di scuole cattedrali e soprattutto di Università, contribuirono in modo incisivo alla reintroduzione in Occidente di branche della cultura scientifico-filosofica di matrice classica o tardoantica, veicolata dalla riscoperta di molti testi greco-latini, passati magari attraverso elaborazioni e traduzioni arabe ed ebraiche.
Nella conoscenza di questi testi, l’Italia ebbe un ruolo importante: tra XI e XII secolo erano fioriti numerosi centri di traduzione dal greco e dall’arabo. A Montecassino e a Salerno erano stati volti in latino numerosi trattati di medicina; in Sicilia, alla corte di Guglielomo I erano stati tradotti Platone, Aristotele, Tolomeo e Diogene Laerzio; all’incirca nello stesso periodo, cioè verso la metà del XII secolo, Giacomo Veneto portava a compimento la più ampia traduzione latina del corpus aristotelico, e pochi anni dopo Gherardo da Cremonia traduceva dall’arabo una settantina di opere, fra cui molte di argomento astrologico.
L’eredità Di Chartres
In certi ambienti, come la scuola di Chartres, l’interesse perla filosofia- questa volta soprattutto neoplatonica- si accompagnava all’indagine nel campo delle discipline “magiche”, intese come più profondi metodi di ricerca delle cause occulte che producono i fenomeni naturali.
L’eredità della scuola di Chartres in materia di magia naturale trovò in seguito numerosi cultori: nel secolo XII si deve ricordare soprattutto Giovanni di Salisbury; nel successivo, almeno Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno, Ruggero Bacone
. Nei loro scritti, accanto all’apprezzamento per la magia naturale, compariva per la prima volta una chiara distinzione fra questa e la magia di tipo cerimoniale, inficiata dalla minaccia demoniaca e dunque ovviamente illecita. Giovanni di Salisbury, per esempio, nelle pagine del Policraticus condannava la divinazione, in quanto essi si avvaleva dell’intermediazione dei demoni. Quale esemplificazione egli raccontava un episodio vissuto come protagonista da bambino: un sacerdote dedito alla divinazione voleva compiere le sue pratiche servendosi di due giovanetti, appunto Giovanni e un ragazzetto appena più grande: spalmava loro u unguento sulle unghie per vedervi materializzare segni, nomi e immagini demoniache.
Un Labile Confine
La distinzione fra magia naturale- lecita- e magia cerimoniale- illecita perché demoniaca- non era però sempre facile. Ruggero Bacone dedicò un trattato- intitolato Segreti dell’arte della natura e configurazione della magia- alla distinzione tra i due ambiti e alla condanna della magia cerimoniale, considerata essenzialmente come una truffa; al contrario, egli valutava in modo positivo quelle figure di guaritori e guaritrici tradizionali, esperti di una medicina naturale che si basava su antiche conoscenze empiriche. Tuttavia, il confine risultava in realtà davvero assai labile; e facilità con cui lo si accettava nel Duecento, almeno per ciò che riguarda i nostri autori, dipendeva in larga parte dalla scarsa conoscenza della cultura “popolare”, in cui invece la manipolazione degli elementi naturali era raramente disgiunta da pratiche rituali: se ne sarebbero resi conto, circa due secoli più tardi, i predicatori popolari e gli inquisitori, forse meno dotti e interessati alle scienze, ma certo più critici verso il mondo tradizionale proprio perché a esso più vicini.
Al contrario, gli enciclopedisti duecenteschi come Vincenzo di Beauvais e Alberto Magno partecipavano in pieno alla grande scoperta delle corrispondenze tra uomo e natura; con questa giustificavano e facevano proprie, ad esempio, le credenze del mondo tradizionale circa i poteri delle pietre (quali il corallo, la malachite, il diamante, l’ambra- anch’essa annoverata fra le pietre-), sorretti in questa loro convinzione da testi antichi- e su tutti la Storia naturale di Pilinio-, o dagli enciclopedisti altomedievali che ne avevano epitomizzato le conoscenze.
Il Lapidario Di Marbodo
Nel XII secolo Marbodo di Rennes scrisse un celebre “lapidario”, ossia un trattato sulle proprietà delle pietre, denso di informazioni sulle virtù magico-terapeutiche delle gemme, ripreso successivamente tanto da Alberto Magno (nel suo scritto Sui minerali) quanto da Vincenzo di Beauvais, nello Specchio della natura. Fra l’altro, entrambi questi autori- seppur con qualche scetticismo il primo-, al apri di Bacone, sulla scorta di un testo schiettamente magico qual era la Tabula smaragdina, prendevano in seria considerazione le credenze alchemiche circa la possibilità di trastumare i metalli e di ottenere artificialmente l’oro, partendo dalla Materia Prima che non è dotata di alcun attributo e aggiungendo a essa i caratteri del più pregiato fra i metalli.
Anche a Bologna e a Padova, tradizionali sedi dello studio del diritto, si svilupparono interessi per l’aristotelismo e la nuova cultura scientifica; nella seconda metà del secolo a Bologna insegnò l’autore del Liber astronomicus, Guido Monatti, originario di Forlì, che, profondamente influenzato dalla letteratura araba, individuava nell’astrologia la chiave di ogni sapere. Nella stessa città, alcuni decenni più tardi, fu professore il noto Cecco d’Ascoli, anch’egli astrologo, che salì sul rogo- la stessa sorte toccò ai suoi libri- nel 1327 con l’accusa di eresia: una delle imputazioni più gravi che gli erano state addossate dal tribunale dell’Inquisizione riguardava l’aver sostenuto che Cristo era nato, come chiunque, provvisto di un tema astrologico e che tutta la sua vita era già segnata nel suo oroscopo, che lo stesso Cecco d’Ascoli aveva anche calcolato. A Padova operò invece il medico e astrologo Pietro d’Albano (1257-1315), che per le sue teorie assai ardite- anch’esse di origine arabo-ebraica- in materia di previsioni astrologiche evitò la pena capitale ma non il carcere, in cui concluse la sua esistenza.
Alla Corte Del Re Saggio
Nel XIII secolo,anche la scuola siciliana proseguì la sua attività, che trovò largo spazio presso la corte di Federico II. Oltre alle sedi universitarie, infatti, le nuove scienze, e fra questa anche quella a carattere magico-astrologico, vennero coltivate grazie all’aiuto di sovrani illuminati. Oltre alla corte federicana, va rammentata quella di Alfonso X detto il Savio, re di Pastiglia e di Leon. La Spagna della Riconquista, come si diceva, era un crocevia di culture- cristiana, ebraica e araba-, e dunque terreno fertile per la traduzione e l’acquisizione di nuove conoscenze; nella seconda metà del Duecento vi operavano grandi personalità quali Raimondo Lillo (1235-1315) e Arnaldo da Villanova 81238-1311 c.c), entrambi al pari di Ruggero Bacone animati da una profonda tensione mistica che sfociava nell’interesse per le discipline magico-cabalistiche e alchemiche.
Alla corte di Alfonso (vissuto prima dell’ascesa al trono per molti anni in quella Toledo che era il crogiuolo di tutte le scienze e le arti ispaniche), che regnò tra il 1252 e il 1284, vennero tradotti e analizzati numerosi testi di tal genere; allo stesso sovrano si attribuisce la composizione di un lapidario e, in particolare, per la sua volontà fu tradotto in spagnolo e in latino un testo arabo di magia astrale, il Picatrix destinato ad avere grande diffusione nell’Occidente tardomedievale; in esso non era solo espressa una concezione di tipo teorico-filosofico sull’organizzazzione del cosmo, ma vi erano anche numerose indicazioni e formule di magia pratica operativa.
L’UNIVERSO UOMO
Principali campi di interesse degli intellettuali di Chartres erano le lettere, la grammatica, la retorica e la filosofia, per le quali si ispiravano ad autori quali Virgilio, Cicerone, Lucano, Microbio e Boezio, ma anche al platonismo, che influenzò la dottrina gnoseologica e metafisica di Gilberto de la Porre (1076-1154). Fu nell’ambito della scuola cattedrale di Chartres che si elaborò la dottrina dell’uomo come “microcosmo”, secondo la quale la Provvidenza ordina i quattro elementi di cui è composta la materia (aria, acqua, terra, fuoco) per portare ordine e armonia nel cosmo; al termine di questa creazione, l’uomo è plasmato con ciò che resta dei quattro elementi e diviene dunque sintesi (appunto, microcosmo) del cosmo intero, con il quale si crea un’affinità che consente una serie infinita di rispondenze tra uomo e natura. Su questo assunto si fondava anche l’apprezzamento dei filosofi di Chartres e dei loro molti discepoli- diretti e indiretti, che in futuro ne raccoglieranno l’eredità- per la magia naturale, intesa come scienza sperimentale. Le rispondenze tra uomo e natura consentirebbero infatti al primo di intervenire sulla seconda per conoscerla e per manipolarla; e la natura stessa, lungi dall’essere materia inanimata, è tutta percorsa da un comune principio vitale.
LA SIBILLA RENANA
Ildegarda di Bingen (1098-1179) venne educatanel monastero di Disibodenberg, del quale divenne badessa nel 1136. Personaggio di elevata cultura, compose numerose opere di mistica, trattati morali, una settantina di poesie e un ricco epistolario. Anche se viene ricordata principalmente come mistica e profetessa non si deve dimenticare il fatto che Ildegarda fu una donna tutt’altro che estranea alla realtà dei suoi tempi: le lettere testimoniano anzi un forte impegno a favore della riforma della Chiesa e della moralizzazione del clero. L’afflato mistico e lo spiccato profetiamo non le impedirono di dedicarsi pure alle discipline naturali e alla medicina, campi in cui la conoscenza teorica appare sostenuta da interessi empirici, legati alla tradizone popolare.
Bagaglio Empirico
Come si diceva, la distinzione tra magia naturale, positiva e lecita, e magia cerimoniale, demoniaca e illecita, poteva sembrare facile, ma nascondeva in realtà molti ostacoli. L’esplosione di temi tanto magici quanto folclorici nella cultura del tempo doveva condurre presto a una reazione: i casi di Cecco d’Ascoli o di Pietro d’Abano sono solo due fra i molti esempi possibili.
Se nei primi secoli del Medioevo le credenze popolari in fatto di costumi magici comparivano nelle fonti solo per esser condannate, la letteratura del XII e XII sembrò affollarsi improvvisamente di infinite tracce di tali credenze, spesso riconducibili con difficoltà a un’unica tradizione, ma frutto invece dei contatti e della fusione fra culture avvenuti nei secoli precedenti.
Negli stessi horti monastici, in fondo, il sapere nascosto e negato di una cultura folclorica non dimentica di origini e valori pagani ancorché destrutturati e decomposti poteva passare attraverso i canali delle consuetudini terapeutiche, con il loro bagaglio empirico fatto anche di antichi gesti e di antiche parole.
Non a caso, una fra le voci più inquietanti circa la sopravvivenza delle antiche credenze venne proprio da una monaca e celebre profetessa benedettina del XII secolo, Ildegarda di Bingen.
Ildegarda Di Bingen
I suoi scritti raccolti nei trattati sulla Fisica e sulle Cause e cure, dedicati alla medicina e alle scienze naturali, rivelano un sapere che era figlio dell’esperienza e della tradizione germaniche, appena toccate dall’influenza cristiana o dalla lezione degli antichi. Ildegarda sosteneva che le sostanze naturali sono detentrici di virtù magiche che è necessario conoscere; stabiliva quindi una morfologia sacrale delle piante e delle loro virtù legata alle aree di provenienza: quelle orientali sono buone e ricche di poteri medicamentosi, quelle occidentali hanno rilievo nell’arte magica ma non contribuiscono molto a mantenere o a ristabilire la salute del corpo, specchio evidente (in tale contesto) della salute spirituale.
Molte piante- specie quelle appunto “occidentali”, familiari alla cultura folclorica germanica- e soprattutto gli alberi, giungono al massimo della loro pericolosità magica quando fanno foglie e fiori, cioè in primavera: è allora- nel “tempo chiaro”, in passato sacro agli antichi dei- che gli spiriti dell’aria sono più attivi. Ma vi sono modi di “disinnescare” il potere magico delle piante, salvaguardandone e valorizzandone invece quello medicinale
Le Meraviglie Magiche Di Roma
Insieme ai testi degli antichi, i secoli dopo i Mille conobbero anche una riscoperta delle memorie artistiche del paganesimo. Nell’epoca del romantico, primo organico tentativo di imitare- in gran parte reinventandole- le meraviglie architettoniche del mondo classico e paleocristiano, i pellegrinaggi a Roma consentivano a molti viaggiatori europei di entrare in diretto contatto con questa realtà ai loro occhi sorprendente e carica di sorprese. Il Mirabilia urbis Romae del canonico Benedetto, composto tra il 1140 e 1143; la Graphia aurae uribis, successiva alla metà del secolo XII; la Narrico de mirabilus urbis urbis Romae, di Magister Gregorio , composta verso la fine del XII secolo (o forse agli inizi del successivo):questi e altri testi riferiscono tanto dei monumenti della Roma cristiana quanto delle reliquie della città pagana. Una Roma pagana di cui si guardano con stupida ammirazione gli immensi resti, senza che però vi siano strumenti adeguati per comprendere la struttura d’insieme della città antica, per collegare i singoli edifici alla loro funzione e alla loro storia. Questi pellegrini erano in fondo convinti che la storia dell’antica città, dei suoi monumenti, dei mirabilia, fosse una storia fantastica, in cui le statue si muovono magicamente e la leggenda è elemento portante cui le statue si muovono magiacamente e la leggenda è elemento portante di ogni narrazione. La storia della Roma antica diviene dunque essenzialmente una sorta di magia: quella, per esempio, delle statue che i viaggiatori affermano esserci state una volta Roma, ciascuna delle quali era dedicata a uno dei popoli sottomessi all’Urbe in una corrispondenza evidentemente magica, in cui la dedicazione era una sorta d’auspicio sulle guerre di annessione che si andavano a intraprendere. Difatti, quando un popolo sottomesso maturava la volontà di insorgere, la statua corrispondente si muoveva e faceva suonare un campanello d’argento che recava al collo. Nell’edificio che conteneva tutte queste statue vi era anche un fuoco inestinguibile- evidentemente il simbolo dell’Impero-, che una profezia diceva si sarebbe spento quando una Vergine avesse partorito; nota quindi Magister Gregorio come “nella notte in cui Cristo nacque da una Vergine… si estinse quel lume falso e magico: giustamente, perché aveva cominciato a brillare la luce vera ed eterna.
ADAMO E LA MANDRAGORA
La mandragora, ad esempio, sosteneva Ildegarda, è calda e umida, fatta della stessa terra con cui fu creato Adamo: proprio perché somiglia tanto all’uomo è, al pari di lui, sottoposta agli assalti del demonio. Per questo essa è molto utile nella magia:ma, per farle perdere i suoi poteri negativi, è sufficiente un bagno in una fonte di acqua pura per il giorno e la notte immediatamente seguenti a quello nel quale la radice è stata estratta dal terreno. Si ha l’impressione che questo bagno della radice antropomorfa nell’acqua pura e limpida sia un simbolo del battesimo, e che la pianta si liberi dalle sue virtù negative in analogia con il lavacro battesimale che libera l’uomo dal peccato originale.
Un rimedio all’incontinenza maschile, sai naturale sia indotta con mezzi magici, consisteva nel prendere una radice di mandragora femminile purificata in una fonte e legarsela per tre notti fra petto e ombelico, quindi prendere il frutto, dividerlo in due e tenerne le due parti legate per tre giorni tre notti sull’inguine. La parte sinistra della radice antropomorfa, polverizzata, doveva esser mangiata mischiata insieme a un po’ di canfora. Se invece era una donna ad essere colpita, doveva ripetere la stessa procedura usando però una mandragora maschio, e polverizzandone la parte destra.
La mandragora, ancora, è utile per qualsiasi tipo di dolore: basta mangiare della radice antropomorfa la parte corrispondente a quella nella quale si avverte il disturbo. A chi si sentiva minacciato da forti perturbazioni e sbalzi nell’umore era consigliato di prendere la mandragora, purificata nella solita fontana per un giorno, di portarla a letto, scaldarla con il proprio sudore e rivolgere una preghiera al Signore. Se non si riusciva a trovare una mandragora, un cespo fronzuto di faggio l’avrebbe sostituita:la procedura rimaneva la stessa. Nonostante la preghiera rivolta a Dio, non è facile negare qui di essere dinanzi a procedimenti di magia terapeutica, piuttosto che di vera e propria medicina.
ACQUA CONTRO LE FATTURE
Ancora la “bathenia” (Betonica officinalis), tenuta preso di sé come un amuleto oppure usata mettendosene una foglia per narice e una sotto la lingua, allontana i sogni cattivi e menzogneri, anche quelli indotti per arte magica. La contromagia sembra una preoccupazione costante per Ildegarda, e c’è da chiedersi in quale misura tale preoccupazione venisse indotta da richieste di sue consorelle o di suoi corrispondenti. La “bibenella” (Pimpinella saxifraga) serve a poco; eppure, basta portarla appesa al collo e si è al sicuro da qualunque tipo di magi. La “Wolfsesgelena” (Arnica montana) ha la virtù che, se si tocca con essa qualcuno che è innamorato, ci si invaghisce pazzamente di lui. Chi ha avuto una fattura può bere acqua passata attraverso un legno di cipresso per nove giorni di seguito, e se ne libererà.. Con un po’ di corteccia del tronco del tiglio incastrata in un anello d’oro sotto un castone di vetro verde, nel quale saranno state sistemate anche un pezzetto di tela di ragno e un po’ di cotone, si può costruire un potente amuleto.
Le pagine di Ildegarda ci scoprono di colpo, in pieno XII secolo, un mondo magico al quale non si può in linea di principio escludere si fossero aggiunte le novità che cominciavano a giungere proprio allora per la via orientale o quella spagnola, ma che almeno in parte sembra in realtà quello di permanenze magiche a lungo negate o nascoste nei trattati di medicina e di botanica, mentre gli evangelizzatori del mondo celtico e germanico cercavano di eliminarle o di obliterarle.