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di Roberto VOLTERRI
La scienza o la conoscenza segue corsi e ricorsi storici? Analizzando alcuni reperti archeologici la risposta sembra affermativa. Lo studio degli Ooparts è in grado di aprire nuove ipotesi sul percorso della scienza umana.
Nihil Sub sole novum, “Nulla di nuovo sotto il sole” recita l’Ecclesiaste (1,10) e forse aveva ragione. Parafrasando l’attuale detto, ho voluto intitolare questo breve excursus storico tra scoperte e riscoperte, invenzioni e reinvenzioni. Le scoperte e le invenzioni che hanno tracciato la storia dell’Umanità sono cadute nell’oblio per riapparire in tempi più propizi al loro diffondersi? Lo spunto me lo ha dato una recente conferenza del Professor Luis Godart, il quale ha esposto diacronicamente lo sviluppo della scrittura, dai primi tentativi d’imprimere il pensiero umano nella materia fino all’invenzione della stampa a caratteri mobili. Ciò che mi ha colpito maggiormente è stata l’osservazione che, da quello che possiamo considerare il primo vero esempio di stampa a caratteri mobili, il celeberrimo Disco di Pesto (XVII secolo a.C.) a Johann Gutenberg (1450), v’è un abisso temporale di circa trenta secoli.
La bussola è cinese?
Analizzerò anacronistiche invenzioni, scoperte scientifiche aventi una paternità ben diversa da quella attribuitagli dalla storia della scienza, reperti archeologici che hanno mostrato la possibilità che in antico erano note tecniche, riscoperte in tempi a noi più vicini. Per orientarci nell’affascinante mondo degli oggetti impossibili, cominciamo dalla bussola. La nascita di un oggetto in grado di indicare il nord magnetico si fa risalire ai cinesi. Secondo antiche cronache, fu l’imperatore Huang-ti, nel 2634 a.C., a far munire il suo regale carro di un dispositivo in grado di indicare la direzione nord-sud, ma questa è leggenda.
Più credibile è ritenere che essi usassero, fin dal X secolo a.C., lo Ien-nan o Chin-nan, ovvero l’indicatore del sud. Notizie più attendibili si hanno nell’XI secolo della nostra era, con una pubblicazione intitolata P’ing-chou-k’o-t’an. Altre indicazioni sull’uso le troviamo tra gli arabi: lo scrittore Mohammed alAwfi narrò, nel 1232, l’uso di uno strumento simile all’attuale strumento. Nel 1282, Bailak Kibdjaki descrisse uno strumento realizzato con un ago magnetizzato a forma di pesce, fissato su un supporto ligneo galleggiante in un piccolo contenitore d’acqua. Per ulteriori notizie certe dobbiamo spostarci nell’Europa del nord, ove troviamo gli scritti di Styrmir Kàrason, Hurla Thordson e Haukr Eriendsson con il suo Land-nàmabòk (1300). In definitiva, sicura è la data di nascita ufficiale dell’invenzione di questo strumento, che oscilla tra la Cina dell’XII secolo, l’Arabia e la Scandinavia del XIII secolo.
La bussola-caduceo
Secondo l’ingegner Mario Pincherle, già dal III secolo a.C. esistevano le premesse scientifiche per far fronte ai problemi della navigazione marittima mediante ausili tecnici. Tali invenzioni, forse attribuibili ai Fenici, erano emigrate verso l’estremo oriente e non avevano influenzato la cultura greca, che ne aveva serbato solo il ricordo iconografico. Nei vasi attici ritroviamo il cosiddetto caduceo.
Vediamo come collegare questo simbolo, emblema dell’armonia cosmica che nasce dall’equilibrio degli opposti, con le antiche tecnologie e le riscoperte. L’origine del simbolo lo fa risalire al mito di Ermes (figlio di Zeus e della ninfa Maia) il quale s’imbattè in due serpenti che combattevano tra loro. Quando Ermes. per porre fine alla lotta, gettò tra i due contendenti la verga d’oro regalatagli da Apollo, i due rettili vi si attorcigliarono immobilizzandosi: era nato il caduceo. Interessante è la possibile sua interpretazione come vera e propria bussola ante litteram. In una stele di Cartagine, ad esempio, troviamo il caduceo come vero e proprio strumento di navigazione montato a prua di una nave punica. Dalla struttura della nave, sembra databile tra il V e il IV secolo a.C., avendo la prua ricurva in avanti e il ponte molto alto. Il rostro posto davanti ai paramezzali farebbe pensare a una vera trireme da guerra.
Più rilevante è la sfera sormontata da una sorta di corna e munita di due nastri fluttuanti al vento. Secondo Pincherle, la sfera rappresentava un sensibile giunto girevole che permetteva la rotazione dell’elemento magnetico della bussola, le cui espansioni polari erano raffigurate come corna. La sfera munita dell’elemento sensibile al campo magnetico terrestre poteva, sotto l’effetto del vento, trascinare a deriva di qualche grado la bussola, ma era riportata nella corretta posizione grazie ai due nastri avvolti a spirale sul calamo, l’asse meccanico della bussola, che agivano come molla di ritorno. È probabile che la loro lunghezza dovesse essere tarata a seconda delle specifiche esigenze e della forza del vento: fuori dubbio è che essi, mossi dalla brezza marina, dovevano sembrare due serpenti attorcigliati. Ecco la classica raffigurazione del caduceo. Gli anacronismi relativi all’antica invenzione della bussola non finiscono qui: essa era in grado di operare anche sotto l’effetto del rollio e del beccheggio della nave. Secondo Pincherle, sulla tolda delle navi v’era una sorta di pozzetto ricoperto da un disco di cuoio che supportava il calamo, ovvero l’albero munito di contrappeso che manteneva la bussola sempre verticalmente. Era una sorta di giunto cardanico, grazie al quale la bussola poteva funzionare perfettamente anche con il piano di coperta della nave inclinato. Poi, come tanti altri frutti dell’umano ingegno, la bussola-caduceo scomparve. Quindi, al buon Flavio Gioia dobbiamo al massimo la reinvenzione della bussola o l’introduzione del suo uso in area tirrenica. E tutto ciò soltanto nel 1302, ben diciassette secoli dopo i geniali inventori e navigatori fenici.
L’Alidada, sestante fenicio
ggPer completare il panorama delle impossibili invenzioni fenicio-puniche è d’obbligo ricordare l’Alidada. Precursore dell’attuale sestante, l’alidada è raffigurata nella cosiddetta Stele di Lilibeo (III secolo a.C.). In archeologia, l’alidada viene talvolta interpretata come “incensiere” (A.M. Bisi, La cultura artistica di Lilibeo, Oriens Antiquus 1968) o come “Simbolo di Tanit” e intesa come “… sviluppo del segno egiziano della vita, l’ankh…”, ma anche come “… combinazione del betilo o pilastro sacro e del simbolo solare, divisi eventualmente da una falce…” (E. Acquare, Cartagine: un impero nel Mediterraneo, 1979). Il simbolo ci ricondurrebbe a uno strumento costituito da un cono girevole, imperniato su un asse solidale con un disco fisso azimutale. Sul vertice del cono era imperniata un’asticciola orientabile a mano, munita di due fessure traguardabili. Non ci sono arrivate indicazioni su come fosse utilizzato lo strumento, ma è probabile che l’impiego fosse simile a quello del moderno sestante. Con l’aiuto di Massimiliano Della Millia e basandomi su alcuni disegni pubblicati da B. Frau del G.A.R. negli anni ’80. ho tentato di ricostruire l’Alidada. che appare indubbiamente simile al Simbolo di Tanit. Dobbiamo quindi rileggere, con occhio più attento, più disincantato e tecnologico molte raffigurazioni del passato, forse troppo spesso interpretate in chiave unicamente artistica o religiosa?
Il perché di un’amnesia
La storia della scienza appare costellata da vichiani corsi e ricorsi storici, da un alternarsi di geniali invenzioni e scomparsa delle stesse a seguito di eventi bellici, del mutare del livello economico e di prosperità delle genti che a quelle invenzioni avevano dato vita o dal mutare di usi, costumi e pratiche necessità. Forse la spiegazione più ovvia consiste nel fatto che la mancanza d’uso cancella il ricordo. Solo il nuovo insorgere delle medesime necessità, in concomitanza con il nascere di geniali individui in grado di cogliere i rapporti tra fenomeni apparentemente non correlati, diedero (e daranno) origine alle stesse invenzioni o alle medesime scoperte avvenute secoli o millenni fa.
LA BUSSOLA DEGLI OLMECHI
Anche gli Olmechi probabilmente possedevano delle bussole seppur molto rudimentali. Frammenti metallici trovati in alcuni tumuli olmechi nei pressi di Vera Cruz, in Messico, presentano caratteristiche magnetiche. Si ipotizza che fungessero da bussola, galleggiando sull’acqua o sul mercurio, ottenuto scaldando il cinabro. Una volta in grado di funzionare puntavano i 35.5° a ovest del nord magnetico. La presenza di questa tecnologia, per quanto rudimentale, anticipa di ben 1.000 anni le scoperte cinesi ed è forse contemporanea delle strumentazioni fenicie discusse in quest’articolo.
Si ricorda che gli Olmechi sono il primo popolo culturalmente avanzato in America secondo la cronologia ufficiale (II millennio a.C.).