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Di Massimo Centini
“Dopo che Gesù nacque a Betlemme in Giudea, al tempo del re Erode, ecco giungere a Gerusalemme dall’oriente dei Magi, i quali domandavano: dov’è il neonato re dei Giudei?
Poiché abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo.” (Mt2,12).
Dai versetti di Matteo non possiamo conoscere né il numero dei Magi, né il significato dei doni, né i loro nomi; vi è solo un’indicazione vaga sulla loro provenienza: l’oriente. Certo vi sono altri elementi, come la “sua stella”, che lasciano intravedere un possibile legame tra questi misteriosi adoratori di Cristo neonato e l’universo dell’astronomia e della divinazione, ma sono connessioni solo immaginabili, che invece troveranno ampia eco nelle ricostruzioni apocrife.
Nella prospettiva di Matteo, gli esegeti hanno individuato un implicito riferimento al Salmo 72 (1) ed ad Isaia (2), ma il tutto in una corretta visione storica; infatti, se l’evangelista “fosse stato incline a finzioni per adattare le profezie che egli utilizzava, avrebbe fatto dei magi altrettanti re, come lo farà presto la tradizione cristiana. Matteo se n’è azzardato bene” (3).
Anche se la stringatezza della narrazione evangelica riferita ai Magi ci permette delle precisazioni che non vanno oltre la semplice teoria, dobbiamo comunque ipotizzare la presenza, nelle parole dell’evangelista, di riferimenti culturali e geografici d’immediata comprensione per gli uomini dell’I-II secolo d.C., ma per noi spesso molto oscure.
Difficile dire se Matteo nella sua descrizione intendesse parlare proprio dei Magusei, maghi di cultura mesopotamico-caldea, noti per la loro tradizione esoterica e per le notevoli conoscenze astrologiche.
Ma se le testimonianze canoniche e storiche ci dicono poco sui Re Magi, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda le fonti apocrife.
In questo contesto si collocano opere come il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dell’infanzia Armeno, il Vangelo dell’infanzia Arabo-Siriaco e lo Pseudo-Matteo. Queste quattro opere costituiscono una documentazione di notevole rilievo che, pur con tutte le prerogative degli apocrifi, conservano una precisa serie d’indicazioni per comprendere la trasformazione e le affermazioni di un mito la cui origine va comunque ricercata nella cultura estranea al Cristianesimo.
La lettura comparata delle varie fonti, ci permette di rilevare influenze e connessioni, ma soprattutto pone in evidenza l’infiltrazione di motivi narrativi sorti sostanzialmente dalla leggenda e dalla tradizione popolare, completamente allontanata dai dogmatismi canonici.
L’exsursus narrativo riflettente e l’itinerario proposto da Matteo e da Luca, trova negli apocrifi dell’Infanzia, inserimenti del tutto originali, come la visita delle ostetriche, la loro diffidenza sulla verginità di Maria, lo spostamento della famiglia, dopo il parto, dalla grotta alla stalla, l’arrivo dei Re Magi in un periodo che varia nelle diverse redazioni dei testi.
Il Protovangelo di Giacomo (4) è ritenuto il più importante tra i Vangeli apocrifi dell’Infanzia ed è stato scoperto e pubblicato da Guillaume Postel alla metà del XV secolo (5). Il fatto che il testo proponga l’attributo “Madre di Dio”, può essere un importante contributo cronologico: infatti solo dal IV secolo andarono consolidandosi le discussioni intorno a questa prerogativa di Maria.
Malgrado ciò, non sono mancati gli studiosi che hanno voluto scorgere nel Protovangelo un’opera aramaica, addirittura precedente ai testi di Matteo e di Luca, o al limite derivata da un’unica fonte orale (6).
Il Vangelo dell’Infanzia Armeno è un’opera che risulta piuttosto composita, frutto forse di una serie di rielaborazioni successive: la redazione siriaca fu pubblicata per la prima volta alla fine del XIX secolo in lingua armena (7) ed è probabilmente un prodotto della cultura nestoriana, quindi esiste la possibilità che questo testo possa essere collocato intorno alla prima metà del V secolo.
In definitiva alcuni studiosi (8) pensarono che da un primitivo nucleo costituito dal Protovangelo, siano state elaborate ulteriori integrazioni, atte a completare l’infanzia di Gesù con tutta una serie d’episodi (la cui origine è del tutto estranea al cristianesimo) ascrivibile ad una sfera di ostentata soprannaturalità.
Il Vangelo dell’Infanzia Arabo Siriaco è ritenuto da alcuni uno sviluppo del Protovangelo di Giacomo, dal quale fu sicuramente influenzato, pur senza perdere il contatto con i testi canonici di Matteo e di Luca, non mancano comunque dirette connessioni alla tradizione mistica orientale, profondamente condizionanti per tutta la letteratura apocrifa qui affrontata. Se ne conoscono due versioni, un’araba e una siriaca, e fu pubblicato per la prima volta alla fine del XVII secolo (9).
Il Vangelo dello Pseudo-Matteo ebbe una notevole affermazione nel medioevo, diventando una fonte a cui molti artisti trassero ispirazione per le loro opere, diventando cosi una condizionante anche per le tradizioni seguenti (10).
Secondo un diffuso stereotipo, però del tutto privo di riferimenti storici, il testo sarebbe un’opera dell’evangelista Matteo (11) scritta in aramaico e scoperta da San Gerolamo che la tradusse in latino. Anche se alcune caratteristiche linguistiche tendono a collocare lo Pseudo-Matteo (costituito dal Libro sulla nascita della Beata Vergine e il Libro sull’Infanzia del Salvatore) intorno al IV secolo, oggi la critica ritiene si possa pensare ad un’opera redatta tra l’VIII e il IX secolo (12), anche perché il primo concreto riferimento alla Pseudo-Matteo risale al X secolo (13).
Tra le fonti mitico-leggendarie medio-orientali in cui sono rintracciabili ampi riferimenti ai Magi, vanno ricordate alcune redazioni che certo furono condizionanti anche per la tradizione leggendaria occidentale (14).
Tra le opere più significative, un posto da rilievo lo merita Il Libro della Caverna dei Tesori, di origine siriaca, che subì delle variazioni nel VI secolo ad opera dei nestoriani e dei monofisiti intorno al 750; la redazione originale può considerarsi di poco anteriore al V secolo.
Ne esiste anche una traduzione araba più tarda (X secolo) chiamata Kitab alMagall (15). Nel testo siriaco i Magi sono chiamati “caldei” e l’opera risulta caratterizzata da un’impostazione didascalica, in cui l’autore si rivolge ad un “fratello Nemesius” che in pratica risulta il suo interlocutore.
Sono considerate opere influenzate da Il Libro della Caverna dei Tesori e situate cronologicamente non molto lontano dalla loro fonte d’origine il Gadla Adam (o vita di Adamo) e il Qualenentos, entrambe scritte in etiopico. Nella seconda viene espressamente citato il Libro del comandamento (un testo scritto da Seth figlio di Adamo, dettatogli dal padre) a cui fanno riferimento anche altre fonti che ebbero un importante ruolo nella vicenda dei Re Magi.
Dalla biblioteca gnostica di Nah Hammadi (Alto Egitto) proviene anche la Rivelazione di Adamo al figlio Seth, scritta in lingua copta e sulla datazione non si è raggiunto un accordo(tra il II e il V secolo) (16).
L’Opus Imperfectum in Mattheum è un’opera sulla cui datazione non si conosce nulla di certo (generalmente si propone il IV secolo); anche sul luogo della redazione gli esegeti non sono d’accordo e se si è parlato d’Africa e di Constantinopoli, oggi si tende a collocare l’opera nell’ambiente ariano della Gallia meridionale. Si presume che in ogni modo il testo attuale derivi da un altro più ampio, forse realizzato in seno alla cultura bizantina (17).
Un altro aspetto particolarmente interessante relativo ai Re Magi riguarda la stella, che pare inserirsi simbolicamente in un più vasto progetto profetico, in risonanza con le parole di Balaam, profeta assiro che si dice nato nel 1477 a.C. (Nm 24, 15, 17).
La stella risulterebbe quindi uno strumento divino, un mezzo per indicare il luogo in cui il Messia sarebbe apparso tra gli uomini, ponendosi come pietra angolare tra le istanze dei giudei e le prerogative esoteriche dei gentili.
In generale gli studiosi ritengono che alla base dell’affermazione del mito della stella luminosa segnalata da Matteo e riaffermatasi negli apocrifi, vi siano delle cause ben precise: una nova o una supernova; una cometa; una congiunzione di pianeti; un fatto straordinario; una leggenda.
Oggi si pensa che la “stella” di Matteo in realtà non sia una cometa, ma un altro fenomeno naturale, ad esempio una congiunzione di Saturno e Giove nella costellazione dei pesci: un’identica situazione probabilmente si verificò anche durante la crocifissione.
In alcune versioni apocrife, la cometa dell’annuncio non è descritta solo come una fonte luminosa, ma come un “angelo, sotto forma di quella stella che prima era stata la loro guida nel viaggio.”
(Vangelo dell’Infanzia Arabo Siriaco, 7, 1). Anche questa è una tradizione che ha trovato affermazione in particolare nel cristianesimo orientale: emblematico l’esempio iconografico costituito dal noto altare di Ractchis di Cividale del Friuli.
Un altro interrogativo sui Re Magi riguarda il loro numero: in questo caso le fonti sono spesso in contrasto e anche se il tre ricorre con maggiore frequenza, non mancano altre ipotesi che spostano da quattro a quaranta il numero.
Gaspare, Melchiorre e Baldassarre (questi i nomi maggiormente diffusi) vengono indicati come maghi, legati alla religione di Zarathustra e profondi conoscitori dell’astrologia. Tutta la loro sapienza viene a concretizzarsi anche in una serie di doni extra.
Infatti, accanto ai canonici oro, incenso e mirra, la tradizione mediorientale propone diverse somme di denaro (ricorrente la somma di trenta denari, che attraverso un tortuoso iter simbolico, finirà nelle tasche di Giuda), un pomo d’oro e addirittura il misterioso Libro di Seth, redatto divinamente e conservato da Adamo per il figlio di Dio.
Ma c’è di più. Infatti, secondo il Vangelo dell’Infanzia Arabo Siriaco, Gesù Bambino donò ai Magi le sue fasce, dotate di poteri miracolosi, capaci di superare un giudizio di Dio e di connettersi, attraverso un lineare percorso simbolico, ai più antichi culti del fuoco. Questi culti sarebbero storicamente documentati, non solo dalle fonti medievali (in prima l’enfatica trattazione de Il Milione di Marco Polo), ma anche dei contributi archeologici forniti dal sito di Naqsh-Rustam, in cui probabilmente ardeva l’antico fuoco reale d’Ahura Mazda.
L’esperienza mistica dei Re Magi non si chiude con il loro viaggio a Betlemme, ma continua in oriente al ritorno dalla Terra Santa.
Ma una valutazione oggettiva dei fatti che effettivamente si verificano nelle loro terre, risulta naturalmente condizionata dalla leggenda e dall’agiografia (nulla di storico c’è pervenuto e i dati in nostro possesso non sono tali da supportare alcuna ricostruzione certa).
Generalmente le fonti sono in contrasto: alcune li considerano martiri, mentre per altre morirono centenari dopo aver evangelizzato le loro terre. Ai tre mitici soprani si connette la figura di San Tommaso evangelizzatore dell’India e quella misteriosa del Prete Gianni di cui si hanno labili tracce storiche. Il culto cristiano dei Re Magi si affermò in particolare nel Medioevo, quando le loro reliquie furono al centro di un itinerario storico, non privo di fenomeni soprannaturali e di colpi di scena, che le portò a Milano e poi a Colonia, dove ancora si trovano.
Nella chiesa milanese di Sant’Eustorgio, di origine paleocristiana, è tuttora conservata l’arca in cui furono posti i corpi di quei tre misteriosi “magusei di Zararathustra” che come pietra angolare riuscirono ad accordare la religione dei gentili a quella ebraica, dando origine ad una tradizione simbolica ancora oggi contrassegnata da molteplici risvolti esoterici.