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di Massimo Centini
L’immagine del guerriero o cacciatore tribale con tanto di collana formata da denti e zanne, appartiene ad una certa iconografia ormai stereotipata, che in gran parte ha stravolto l’autentica fisionomia della figura del “primitivo”.
Al di là dell’abuso di certi luoghi comuni sul concetto di primitivo, che non è argomento di questo nostro breve intervento, vorranno soffermarci proprio sul tema del dente inteso come elemento simbolico e spesso parte di complicate vicende simboliche.
Non siamo in grado di stabilire quale fu all’alba dei tempi, l’atteggiamento dell’uomo nei confronti dei denti; però, quando ancora certe parti del corpo erano considerate in relazione con il soprannaturale, certamente vi doveva essere uno strano rapporto con queste armi naturali, che più di ogni altra parte anatomica, accomunavano l’essere evoluto all’animale.
La presenza di collane realizzate con zanne e rivenute nelle tombe del Paleolitico, lascia quindi presupporre l’esistenza di una sorta di sacralizzazione dei denti, il cui forte potere distruttivo nelle coscienza animistica preistorica, era per così dire, rimasto all’interno di un incisivo strappato ad una vittima feroce.
Osservando gli atteggiamenti rituali che la cultura antropocentrica ha creato intorno ai denti, notiamo sostanzialmente tre espressioni simboliche ben definite:
a) i denti personali venivano considerati provvisti di una loro energia vitale, quasi di immortalità, e di conseguenza non erano dispersi;
b) i denti di altri (uomini o animali) usati per il loro contenuto (forza, potere, legame con la divinità), quindi una sorta di naturale evoluzione del punto a;
c) funzione inziatica.
Il punto “a” presenta delle caratteristiche che sono piuttosto note e hanno mantenuto una loro solidità nel tempo, risultando ancora oggi attive, se pur con atteggiamenti diversi, nella nostra cultura occidentale.
Ci riferiamo a quella sorta di tabù che consiglia di non buttare mai via i denti.
In molte culture questa regola ha assunto una valenza quasi religiosa, al punto che denti, unghie e capelli erano sempre conservati in buche o in fratti, per fare in modo che il legittimo possessore, quando fosse morto, potesse recuperarli.
Nell’ampia documentazione raccolta dal Frazer, troviamo numerose testimonianze relative ai denti: in genere si tratta di credenze sorte sull’atavica paura che esseri, negativi e forze malvagie, possano colpire la propria vittima agendo su una parte del suo corpo o su una sua effigie.
L’origine è da ricercare nel nucleo della cosiddetta magia simpatica, uno tra gli esempi più tipici posti alla base delle credenze primitive.
“Tra i Murring e altre tribù del Nuovo Galles del sud, il dente estratto era prima custodito da uno dei vecchi e poi passato da un capo all’altro, finchè aveva fatto il giro della comunità, poi tornava al padre del ragazzo e in fine al ragazzo stesso (..). I Basuto nascondono con grande cura i loro denti strappati, affinchè non cadono nelle mani di certi esseri mitici che s’aggirano tra le tombe e che potrebbero nuocere con dei malefizi al possessore del dente (…). Nel Sussex, una cinquantina di anni fa, una serva protestava violentemente contro l’uso di gettar via i denti caduti dei bambini, affermando che se fossero stati trovati e rosicchiati da qualche animale, il nuovo dente del bambino sarebbe stato assolutamente come i denti dell’animale che aveva morso l’antico”.
Da queste poche indicazioni fornite dal Frazer, si comprende la vastità dell’argomento, ma soprattutto si percepisce quanto siano marcate certe credenze, cha hanno avuto aspetti forse più rituali sul piano collettivo nelle culture primitive, ma non prive di riflessi anche in quelle più “evolute”.
Prendiamo ad esempio il caso della tradizione insegnata ai bambini di nascondere sotto un bicchiere il dente da latte appena caduto, perché il “topino” o il “ragnetto”, durante la notte, lo preleveranno lasciando al suo posto un piccolo dono.
Al di là del valore ludico rivestito da questa forma popolare di mitologia relegata oggi al solo livello infantile (ma come abbiamo visto con espressioni ben “più adulte” nelle culture primitive), esiste comunque una memoria rituale più antica, che affonda le proprie radici ancora nella magia. Riferendoci per la seconda volta a Frazer scopriamo che “la ragione assegnata per invocare i topi, in quest’occasione era che i denti di topo erano più forti conosciuti tra gli indigeni”.
In Polinesia si credeva che la caduta dei denti fosse una forma di punizione divina, inflitta a quanti avevano infranto il tabu’ che vietava a chi aveva sepolto n morto di toccare il cibo con le mani.
Nell’Africa occidentale i denti di un capo morto, erano considerati un potente talismano contro le piogge; mentre per alcune popolazioni dell’Oceania i denti degli antenati erano parte dei culti solari.
Anche la crescita di un dente, secondo il punto in cui si formava, era un’occasione per formulare dei pronostici. Non parliamo poi dei casi di bambini nati con alcuni denti, che come nel caso di quelli venuti al mondo, con la camicia amniotica e dei settimini, erano immediatamente indicati come creature superiori alle altre, sotto certi aspetti in rapporto con il divino.
Per quanto riguarda invece la diffusa abitudine di attribuire poteri soprannaturali ai denti di alcune creature, animali in particolare, notiamo che risulta ampiamente presente nelle culture primitive (la nota collana di denti di lupo o di orso), in quelle classiche (l’aratura e le semina dei denti di drago) e in quella popolare, che si esprime nitidamente nella farmacopea della medicina empirica.
La polvere di dente di lupo era un ottimo energetico, mentre i Fung-lung-scih (bianchi e grossi denti di drago) abilmente trattari dai farmaci cinesi, secondo ricette millenarie, erano un ottimo afrodisiaco…
Anche a livello di cura del mal di denti erano perseguiti dei sistemi empirici, che andavano da strane forme terapeutiche effettuate applicando radici di asparagi sul dente dolente, fino a rituali certamente intrisi di paganesimo, come quello che consigliava di inchiodare un ciuffo di capelli e delle unghie sulla porta di casa di chi era affetto dal dolore…
Vi erano poi espressioni sincretistiche, ad esempio quella suggerita da Alberto Magno nel suo “Dei meravigliosi segreti”, che indicava come panacea contro tutti i tipi di dolore ai denti la richiesta di elemosine – da parte del sofferente – per San Lorenzo. Oppure ci si rivolgeva a San Leonardo, con questa strana cantilena:
“San Lorenzo per il mare andava La Vergine Maria lì lo incontrava. Che fai San Lorenzo? Che vai piangendo?
Per il dente che duole vo piangendo!
Se è il dente, possa cadere!
Preghiamo Dio e la Vergine Maria
Che il dolore dei denti vada via”
Sul piano iniziatici i denti erano spesso parte integrante dei riti puberali: “Fra le tribù dell’Australia era pratica assai comune di strappare uno o più denti incisivi a un ragazzo, in quelle cerimonie di iniziazione a cui ogni membro maschio doveva sottomettersi prima di poter godere tutti i diritti e privilegi di un uomo adulto”.
Con l’avulsione di un dente ecco che il giovane poteva risalire l’iter iniziatico, acquisendo nuove forze per poter accedere ad un livello nuovo: “Evidentemente simbolo che il novizio è rinato ad una nuova vita, è ritornato lattante (privo di denti) su un più completo piano dell’esistenza”. Nella nostra cultura razionalistica, i denti hanno perduto il loro significato rituale diretto, e sono considerati canali privilegiati di comunicazione simbolica, in particolare quando riaffiorano nel dedalo del sogno. Infatti sognare i denti è sempre di cattivo auspicio, e perderli nel dedalo onirico corrisponde all’annuncio della morte di un familiare.
Secondo la psicoanalisi invece, questo sogno corrisponde alla paura della castrazione. Sul piano esoterico “i denti costituiscono le fortificazioni e la difesa dell’uomo inferiore, sia nel suo aspetto di energia materiale, sia in quello spirituale. Da qui deriva il simbolismo negativo della caduta dei denti o della loro rottura “.
Un aspetto simbolico connesso ai denti, che la mitologia popolare ha creato con attributi diventati l’emblema del male totale, è rappresentato dal vampiro.
Tralasciando l’ampio discorso sul vampirismo che ci porterebbe troppo lontano , bisogna sottolineare il ruolo fondamentale rivestito dai denti del vampiro all’interno di un territorio simbolico eterogeneo. Sono gli elementi che hanno fatto della creatura notturna, del non morto un elemento straordinario, una figura posta in sospensione tra leggenda e paure ataviche riaffioranti dall’incoscio.
Per il vampiro suggere il sangue della propria vittima è una necessità per continuare a mantenere la propria posizione nell’universo del male. La sua ricerca di eternità si racchiude nel costante tentativo di penetrare con i canini molto sviluppati nel collo delle giovani vittime, portatrici dell’ambrosia in cui è deposta la quintessenza dell’eternità.
L’aspetto deduttivo ed erotico-sessuale del morso del vampiro è un’ulteriore espressione della forte ambiguità riconoscibile a questa terribile figura, la cui origine si perde nell’oltretomba mesopotamici-giudaico.
Di conseguenza all’ipotesi sessuale, la psicoanalisi scorge nel lungo dente un fallo, il foro nel corpo della vittima diventa il peccato celato, l’atto vampiresco diventa il simbolo atto sessuale, il morso ripetuto di un vampiro su un essere umano che a sua volta si trasformerà anch’esso in vampiro, acquisisce di conseguenza l’aspetto della procreazione.