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di Fulvia Cariglia
Non è bello doverlo ammettere, ma è certo più stimolante occuparsi del diavolo che non di cherubini. Scarta, probabilmente, quell’affascinante e contorto meccanismo di attrazione che si ripete quando ci troviamo di fronte al bel fuoco di un camino acceso in montagna: sappiamo che brucia eppure non ci scostiamo, trascorriamo il tempo ad osservare l’incandescenza delle braci ardenti come se fosse un prodigio, eppure sappiamo benissimo che se dovessimo metterci dentro anche solo la punta di un dito mignolo sarebbe dolori. E dire che di tanta accattivante viltà abbiamo le prove ogni qualvolta, sebbene a debita distanza, un tizzone scoppiettante di raggiunge, pungente come un ago di ghiaccio, eppure è fuoco.
Ma ci piace troppo il camino, e continuiamo ad accenderlo anche se in casa c’è il riscaldamento centrale. Forse ci aspettiamo che, da un momento all’altro, salti fuori “lui”, per “identificazione inconscia” come si dice oggi… ma lasciamo agli psicoanalisi simili ipotesi.
Per noi, molto più semplicemente, il fuoco è bello anche se scotta.
Non sappiamo se è sulla base di questo assunto (ma tutto lo farebbe pensare) che da tempo ormai, e sempre più spesso, le eminenze grigie che decidono per noi quale messaggio dobbiamo ricevere attraverso i media ci proponiamo una serie di pro-memoria sull’esistenza del maligno: in mille forme diverse presentato, ma è lui, il maligno, il protagonista da prima pagina. Basti anche solo pensare all’informazione sui temi sociali, riservata – pare – agli orrori dei fatti e delle situazioni, secondo una strategia che sembra voler tacere quanto di bello e costruttivo offre ancora la vita: drammi della droga in tutte le salse, senza contrapporvi storie vere nelle quali la droga è stata sconfitta; statistiche sulla delinquenza giovanile, scippi borseggi e rapine quante se ne vuole, ma quasi mai elenchi di associazioni volontaristiche dove i giovani sono i primi a prestare loro opera in iniziative sociali; diavoli, appunto, di tutte le qualità e razze, accantonando speso il naturale fiorire di angeli, ovvero momenti gioiosi dell’esistenza che, pure, ci sono. E ancora, ad ulteriore conferma, vediamo e leggiamo commentata ogni vittoria sportiva con molto più riguardo per il raggiungimento di perfezione tecnica e ambizioso significato di business raggiunti, piuttosto che per il risultato di una volontà ferrea che gioca a misurare la potenzialità fisica, come invece sostanzialmente è.
Ci sono molti modi di parlare del diavolo, e molti per vestire di diabolico qualunque argomento. Il celestiale, si sa, rende materia meno appetibile, e certo lo sanno anche i “maghi” della persuasione, tant’è che la più famosa campagna pubblicitaria di questi ultimi tempi è diventata tale per lo sdegno che da molte parti è riuscita a suscitare. Ed è proprio dai giganteschi cartelloni della Benetton che prendiamo spunto per osservazioni che, tuttavia, possono valere per tutte le altre forme di divulgazione “diavolesca”.
Parlano, i responsabili del servizio pubblicitario dell’azienda veneta, di realtà che, come tale, non deve essere sottaciuta ma evidenziata: rispondono, gli attenti teorizzatori della pubblica morale, che tanto persiste su un’esposizione così scioccante rischia di abituare all’espressione violenta del dissenso e, infine, a renderla familiare. E, se tanto si è discusso sull’ancestrale “paura del distacco” alla vista di un neonato e del suo cordone ombelicale, se tanto ha fatto urlare allo scandalo la rappresentazione (di dubbio gusto, secondo noi) dell’affettuosità fra ecclesiastici di sesso diverso, non abbastanza è stata forse interpretata la gigantesca cartellonistica che vede un puttino biondo e bianco contrapporsi ad un diavoletto nero e scuro.
Già in una precedente serie questi “maghi della persuasione” avevano ben azzeccato la simbologia del voluto contrasto fra il buono e il cattivo, caratterizzato sia dai soggetti sia dai loro colori naturali, nell’esprimere immagine di un lupo ed un agnello dolcemente affiancati, incuranti degli istinti loro attribuiti. Tenerissimo messaggio di speranza, a nostro avviso, che quasi faceva piacere il semaforo rosso per starlo a guardare. Ma, potremmo in coscienza giudicare allo stesso modo la boutade antirazzista quando, per illustrarla, ci si è serviti di un “Bene” e un “Male” camuffati da angelo e diavolo? I due bimbi si abbracciano, è vero , sembrano esternare un’amicizia che vuol dire esempio da seguire, solidarietà fra popoli, siano essi bianchi o neri: e questo ci piace molto, ma che bisogno c’era di quella mascherata delle pettinature? Riccioloni romantici l’uno, lanosi chignon a mò di corna l’altro. L’allusione è troppo forte per limitare alla considerazione sociologica del luogo comune, ovvero che ci siano sempre immaginati il bianco e il nero come l’angelo e il diavolo, noi angeli, “loro” diavoli. No, c’è qualcosa di più in quel cartellone, ed è qualcosa che suona falso.
Va bene per la scelta dei soggetti, perché bambini è=innocenza, libertà dai pregiudizi (almeno finché non si guardano attorno); va bene per la scelta di colori diversi della pelle, che non è una dichiarazione di incompatibilità per diventare amici (anche se un cinesino sarebbe stato meno retorico di un moretto): ma l’abito simbolico di cui sono vestiti quei bambini non può essere in sintonia con quell’abbraccio. Un diavolo è un diavolo e un angelo è un angelo e, a vederli abbracciati, dobbiamo subito pensare che c’è qualcosa sotto, qualcosa di molto più consistente che vendere qualche maglietta in più. Gli abilissimi creatori di così bella pubblicità non sono raffinati esoteristi, e non sono tenuti a sapere che il capolavoro di persuasione del diavolo consiste proprio nel diffondere la convinzione di non esistere. Almeno così si dice, e c’è da crederci… anche perché – come ben si vede – lui, di pubblicità, se ne intende.
Quello di apparire una mera costruzione dell’uomo è uno stratagemma che gli frutterebbe più di uno sponsor, impegnati come sono a parlare di lui giornali, riviste ed emittenti varie, anche quando non lo sanno. Cronache bugiarde e di ampio richiamo ne esaltano la fantasia quando cercano di divulgare un’opinione che fa comodo al momento politico od economico; manualetti e libercoli lo rendono gradito mediante la distrazione del suo vero ruolo di vampiro della libertà individuale riducendo a mero rappresentante dell’altra “faccia” della realtà; trasmissione televisive capaci di manipolare le coscienze fino all’inverosimile costituiscono il suo più glorioso trionfo. Molto meglio, allora, quando di lui si parla direttamente, quando lo si pone come problema o, almeno, come concetto da discutere.
E dobbiamo qui ancora citare Giuliano Ferrara (dimostratosi in questi ultimi mesi molto interessato agli argomenti trattati dal nostro giornale) che si è dichiarato, grazie a Dio, semplice indagatore e, come è giusto che avvenga in una “Istruttoria” che si rispetti, ha raccolto materiale utile al telespettatore per elaborare un giudizio proprio: con la sua inchiesta su “sètte e diavoli”, Ferrara si è fatto perdonare la precedente “sortita” sul Venerdì 17, condotta – se pur simpaticamente – all’insegna della superficialità e dell’equilibrio. Va da sé che non siamo d’accordo con tutte le dichiarazioni rilasciate degli ospiti del conduttore, ma dobbiamo questa volta riconoscergli un serio modo di proporre la dietrologia della moda misterica, non essendosi limitato alla trita questione dell’inganno fenomenologici. In posizione asettica e affatto derisoria, è stato bravo a lasciare esprimersi gli intervenuti nel loro ruolo.
Abbiamo così sentito l’opinione della Chiesa come non diversamente poteva essere, quella del filosofo e del sociologo secondo il punto di vista, quella dei gabbati e dei gabbatori, dai laici e dei credenti, degli osservatori e dei coinvolti e, se anche è difficile dare un’idea di diavolo in un tempo breve e con tali mezzi, la trasmissione ha avuto il merito di contribuire a conoscere fenomeni tanto scontati quanto poco evidenziati. Anche il “rappresentante” in carne ed ossa del “benemerito” ha avuto modo di dar saggio della sua sgusciante abilità (derivatagli dall'”investitura”?) di non scoprirsi troppo, non privandolo tuttavia del pregio che conferisce sempre l’onesta ammissione del proprio credo.
Non si è espresso Ferrara sui torti e le ragioni che hanno portato in tribunale accuse di plagio, ma altamente indicatore di una situazione è stato il suo “consiglio televisivo”, suggerito ai portavoce di Scientology, di non mostrarsi così allegri e disinvolti, troppo per credere che tanta allegria e disinvoltura fosse vera tranquillità d’animo. Ed ha elargito una sana (nel senso che giova alla salute mentale, nonché del portafoglio) informazione la Gatto Trocchi quando, non smentita dai presenti in collegamento, ha dichiarato che, secondo le sue ricerche, la partecipazione ai corsi di “conoscenza superiore” organizzati dal gruppo può costare all’aspirante iniziato più di cento milioni di lire. Se compresa IVA non sappiamo.
Questa che può sembrare propaganda scandalistica, salvo dimostrare il contrario, è invece un importante cartello di diffida inchiodato di fronte a chi avesse in mente di risolvere i suoi problemi personali delegandoli ad altri che, con la carta del trascendente giocata in malafede, promettono paradisi che non sono di questo mondo. E, se è vero – come molti dicono – che i diavoli sono più di uno, in questa società che sembra esserne tanto popolata ha buon gioco quello che sa travestirsi da angelo custode, farsi avanti al momento giusto, proprio quando – guarda caso – è di un angelo miracoloso che si ha bisogno, perché né scienza né tecnica né carattere sanno far fronte ad un destino avverso. Ed è importante – come avvenuto in questo caso – che l’informazione non si limiti a rabberciare notizie parapsicologiche con taglio da spettacolo, confondendo generazione esoterica con ricerca scientifica, che stanno fra loro, appunto, come il diavolo all’acqua santa.
Uno sguardo alla stampa è d’obbligo a questo punto. Un’occhiata ai titoli di copertina in edicola e subito è chiaro come tanti si approfittino dell’effetto/sensazione che esercita in generale la terminologia diabolica. I soprannomi dati ai protagonisti dei processi più seguiti sono un sintomo del costume, l’evidenziazione di insignificanti episodi ricondotti per forza a pratiche magiche dimostra l’abitudine a trattarne con apparente disinvoltura, il diffondersi della miracolistica da cronaca tende a creare una confidenza con il trascendente che poi non trova alcun riscontro nella vita comune; la così pubblicizzata “bisestilità” di questo anno ’92. poi, ha scatenato tanta fantasia giornalistica da procurare affari d’oro ai produttori di talismani.
Ma non è propriamente così che riteniamo vada affrontato il tema di quella che potremo definire una costante “presenza” negativa, nel collettivo come nell’individuale; e se tutti pensano di poterne riempire le pagine come si trattasse di un “festival delle curiosità” noi pensiamo di dover richiamare al fatto che non c’è tanto da scherzarci sopra.
Un delitto è abbastanza atroce di per sé senza bisogno di colorarlo con interferenze di sapore occultistico , e un festino hippy a sfondo sessuale è ben lontano dal compiere il senso del rituale magico; una guarigione o uno straordinario coincidere di eventi non sono miracoli per il solo fatto che i protagonisti li riconoscono tali e questo 1992, bisestile o no, ha bisogno di maggior cautela per il solo fatto che ogni anno che passa è sempre più inquinato dall’accumulo di problemi ambientali e sociali irrisolti. Si fa presto a dire “diavolo” invece non è facile raggiungere quella forza di obiettività nei confronti dell’insolito di apparenza “diabolica” che non distragga da ciò che, talvolta, diabolico è veramente.
Quanti piccoli, diavoli, ogni ora di ogni giorno, sul nostro cammino!